Imposte

Bonus sui rientri a tutto campo

di Antonio Longo e Antonio Tomassini

L’Italia si cimenta con la competizione fiscale e tenta di favorire l’ingresso di capitale umano di alta qualità all’interno delle nostre aziende. Siamo lontani da una riforma vera del sistema fiscale italiano volta a ridurre la oppressiva tassazione effettiva sulle aziende, ancora sopra il 60%, ma dagli incentivi alle persone fisiche che decidono di stabilirsi in Italia, ovvero “neo residenti”, visto investitori e rientro dei lavoratori qualificati, possono derivare consistenti vantaggi anche alle imprese .

Tra le misure più rilevanti volte ad attrarre attraverso la leva fiscale risorse umane qualificate, il legislatore ha provveduto a:

rendere permanenti gli incentivi per il rientro in Italia di docenti e ricercatori residenti all’estero, di cui all’articolo 44 del Dl n. 78/2010 , che consentono di escludere da tassazione il 90% del reddito di lavoro dipendente o autonomo prodotto in Italia per quattro periodi d’imposta;

istituire il regime fiscale di favore ex articolo 16 del Dlgs n. 147/2015 per i cosiddetti “impatriati”, riguardante laureati, manager e lavoratori con alta qualificazione che si trasferiscono in Italia, estendendolo poi ai lavoratori autonomi (prima era applicabile solo ai dipendenti); peraltro l’agevolazione è stata potenziata dallo scorso 1° gennaio prevedendo la detassazione del reddito imponibile del 50% per cinque anni dal trasferimento.

Si tratta di misure tese allo sviluppo economico, scientifico, tecnologico e culturale del Paese e che, oltre a favorire gli individui, rappresentano una importante occasione per il mondo delle imprese, pur non garantendo direttamente sgravi fiscali a queste ultime (come accade invece per le altrettanto interessanti misure sul welfare).

Le persone che si trasferiscono portano, infatti, con sé un bagaglio di conoscenze e competenze di cui molte aziende italiane sono sprovviste. E la platea di soggetti potenzialmente interessati ad assumere chi si sposta in Italia è ampia, senza contare che anche lavoratori autonomi potrebbero decidere di sfruttare la favorevole occasione.

Quanto ai docenti e ai ricercatori, la norma richiede genericamente che vengano a svolgere la loro attività di ricerca o docenza nel nostro Paese. La disciplina di favore nulla dispone in merito ai requisiti dei datori di lavoro e dei committenti. Per l’attività di ricerca, ad esempio, potrebbe trattarsi di università, centri di ricerca, pubblici o privati, o di imprese che dispongano di strutture destinate.

Allo stesso modo, con riferimento alle agevolazioni previste per gli “impatriati”, l’attività lavorativa in Italia, se derivante da rapporto di lavoro dipendente, può essere svolta indifferentemente presso pubbliche amministrazioni, imprese, o altri enti pubblici o privati. Per i manager (coloro che rivestono ruoli direttivi) o per i lavoratori qualificati o specializzati la nozione di impresa comprende poi qualsiasi soggetto che eserciti un’attività economica, consistente nell’offerta di beni e servizi sul mercato, a prescindere dal suo status giuridico, dalla forma organizzativa, e dalle dimensioni (può pertanto anche trattarsi di Pmi). Peraltro, il regime speciale è applicabile (dal momento del trasferimento della residenza fiscale in Italia) anche ai manager che già svolgono una attività lavorativa nel territorio dello Stato e che, pertanto, già conoscono il tessuto imprenditoriale domestico, perché, ad esempio, distaccati in Italia da un’altra società del gruppo.

A questo riguardo, le “aperture” interpretative offerte dall’agenzia delle Entrate nella recente circolare n. 17/E sembrano andare nella direzione di ulteriormente favorire chi sceglie di venire a lavorare nel nostro Paese, nel momento peraltro in cui sono in discussione misure volte a consolidare e migliorare le norme sul ritorno in Italia.

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