Cedente responsabile per il mancato controllo sulla dichiarazione d’intenti
L’articolo 8 del Dpr 633/1972 , che consente agli esportatori abituali di usufruire del regime fiscale agevolato delle cessioni in sospensione d’imposta, prevede criteri ed oneri da rispettare che impongono al cedente un obbligo di controllo delle dichiarazioni di intenti secondo il criterio dell’ordinaria diligenza al fine di evitare che si creino distorsioni nel sistema di distribuzione dei prodotti sul mercato; qualora emergano gravi elementi di negligenza il cedente è solidalmente e personalmente responsabile dell’evasione d’imposta. Questo il principio che emerge dalla sentenza 36/19/2018 della Ctp Milano .
La vicenda
Il caso finito all’attenzione dei giudici tributari milanesi riguardava l’impugnazione da parte di una società , operante nella distribuzione all’ingrosso di prodotti informatici ed elettronici, di un avviso di accertamento, emesso dall’agenzia delle Entrate, in rettifica della dichiarazione ai fini delle imposte dirette e dell’Iva; la controversia scaturiva dal controllo effettuato da altro Ufficio su uno dei clienti da cui emergeva l’insussistenza dei requisiti per usufruire del regime di sospensione d’imposta.
La società ricorrente eccepiva, fra i vari motivi di ricorso, che aveva puntualmente attivato la procedura di controllo interno sulla dichiarazione di intenti presentata dal cliente e che lo stesso aveva effettuato operazioni non imponibili per un importo superiore al 10% del volume d’affari, così configurandosi lo status di «esportatore abituale».
L’ufficio, al contrario, difendeva l’atto impositivo emesso concentrando l’attenzione sul ruolo di missing trader emerso da indagini svolte dalla Guardia di Finanza sulla società , cliente della ricorrente , nell’ambito di una frode Iva di notevole entità; in particolare ricordava che l’ammontare delle cessioni dell’anno precedente determinava il plafond disponibile, cioè l’importo massimo fino a concorrenza del quale è possibile acquistare in regime di non imponibilità Iva; in tale contesto la falsa lettera di intento rilasciata da soggetto interposto (filtro)consente l’evasione dell’Iva perché l’interposto venderà con Iva sul territorio nazionale, non versando alcunché all’Erario e generando di conseguenza una distorsione nel sistema di distribuzione dei prodotti sul mercato nazionale.
La sentenza
La Commissione provinciale, per dirimere la controversia a favore della parte pubblica, si affida ai principi di diritto enunciati dai giudici della Cassazione (sentenze 9940/2015 e 984/2015). In particolare:
•il cedente ha specifici obblighi di controllo della dichiarazione di intenti, dal cui preciso e puntuale adempimento deriva la possibilità di cedere la merce in sospensione di imposta, tale da radicare una responsabilità personale del cedente medesimo per l’operazione fraudolenta in ipotesi poste in essere dall’esportatore cessionario;
•deve escludersi che la normativa sulla dichiarazione di intenti determini una sorta di deresponsabilizzazione del cedente, il cui eventuale coinvolgimento nella frode posta in essere dal cessionario deve essere perciò valutato dal Giudice di merito secondo quei criteri di normale diligenza che consentono la sussistenza dei fatti accertati nella portata precettiva della norma settoriale di cui si assume la violazione (o meglio, la falsa applicazione).
Richiamati i principi di diritto il collegio milanese li adatta alla situazione di fatto evidenziando come la ricorrente fosse il primo operatore nella distribuzione all’ingrosso di materiale elettronico e di conseguenza la richiesta di ottenere l’esenzione Iva , perché merce destinata all’esportazione, avrebbe dovuto determinare , per un soggetto esperto del settore, forti sospetti; ed ancora , essendo notorio che i prezzi praticati in Germania, Polonia e Olanda sono inferiori di quelli praticati in Italia ed avendo constatato il repentino incremento degli acquisti in esenzione, la ricorrente avrebbe dovuto avvertire l’esigenza di ulteriori approfondimenti.
Non è sufficiente, chiosa il collegio, un esame formale della dichiarazione di intenti ovvero l’acquisizione del certificato camerale , a maggior ragione nei casi in cui, come quello di specie, l’acquirente ha un rating molto basso e un affidamento esiguo; indizi questi che avrebbero imposto lo sviluppo di ulteriori indagini dalle quali sarebbe certamente emerso lo sbilanciamento tra il volume d’affari conseguito presso la stessa ricorrente e l’assenza assoluta di struttura idonea per reggere un tale volume.
Alla luce di tali considerazioni i giudici ambrosiani affermano il principio in base al quale non necessita la partecipazione diretta nel disegno di truffa ma sono sufficienti gravi elementi di negligenza affinché si configuri la responsabilità solidale nell’evasione d’imposta.