Controlli e liti

Cessione fabbricati con meno sorprese

di Giorgio Gavelli

Con il nuovo articolo 20 del Dpr 131/1986 dovrebbero acquisire maggior certezza fiscale non solo le operazioni di riorganizzazione aziendale ma anche alcuni negozi giuridici posti in essere da soggetti privi di partita Iva spesso fatti oggetto dell’opera di riqualificazione da parte delle Entrate. Aver circoscritto e specificato i confini dell’interpretazione degli atti portati a registrazione, infatti, parrebbe rendere meno attaccabili dal Fisco operazioni quali:

• la cessione di fabbricato (magari con agevolazioni prima casa), spesso riqualificata in cessione di area edificabile in virtù della demolizione posta in essere dall’acquirente;

• l’affitto del lastrico solare o del terreno agricolo per la costruzione dell’impianto fotovoltaico, spesso riqualificato in cessione di diritto di superficie (in senso contrario Ctp Forlì 160/1/2015, si veda il Sole 24 Ore dell’11 gennaio 2016).

Il caso di gran lunga più frequente è il primo. Con risoluzione n. 395/E/2008, a seguito di una istanza di interpello sulla cessione di fabbricati rientranti in un’area soggetta a un piano di recupero già approvato dal comune, l’Agenzia ha ritenuto oggetto della compravendita non più i singoli fabbricati, ma l’area edificabile su cui gli edifici insistevano (diversamente da quanto sostenuto ai fini Iva: circolare 28/E/2011). Se nelle imposte dirette la giurisprudenza prevalente della Cassazione è su posizioni contrarie a questa interpretazione (si veda il Sole 24 Ore del 9 agosto 2017 e ordinanza 19129/17), ai fini dell’imposta di registro la lettura “estensiva” dell’articolo 20 Tur sino a oggi accolta dalla Suprema Corte legittimava una simile riqualificazione, individuando la «reale intenzione delle parti» nella cessione della potenzialità urbanistica dell’area o del fabbricato. Occorre chiedersi se, al di là della diatriba sulla decorrenza, queste contestazioni siano ancora possibili, quanto meno per gli atti portati a registrazione dal 1° gennaio scorso.

L’ordinanza 16382/2016 della Cassazione ha accolto la tesi “riqualificatoria” del Fisco perché la richiesta di demolizione era stata presentata dalla parte venditrice prima della stipula della compravendita. In altri casi, le pronunce avevano valorizzato lo stato di “fatiscenza” dell’immobile e l’immediata richiesta di concessione edilizia per la demolizione richiesta dall’acquirente dopo il rogito, essendo rilevanti ai fini interpretativi «i comportamenti successivi alla formazione dell’atto» (sentenza 24799/2014). L’ordinanza 12062/2016, in particolare, ha accolto il ricorso dell’Agenzia perché la Ctr aveva «limitato la propria indagine al contenuto testuale dell’atto negoziale» non considerando gli altri elementi, estranei all’atto medesimo, che l’Agenzia aveva valorizzato (domanda del permesso di costruire di poco successiva alla alienazione). Nello stesso senso, si veda la sentenza 10113/2017 e l’ordinanza 313/2018. Stando così le cose, poiché con la modifica della legge di Bilancio si è inteso definire «la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio i comportamenti tenuti dalle parti), nonché dalle disposizione contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quello da registrare», rendendo irrilevanti «gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti», ne dovrebbe direttamente conseguire che tale giurisprudenza vada considerata superata dalla nuova disciplina. Resta, forse, il dubbio che la «riqualificazione» possa ancora trovare fondamento negli atti di permuta tra fabbricato e future unità immobiliari da costruire sull’area di sedime, essendo la demolizione alla base del negozio portato a registrazione. Tuttavia, pare che anche in questo caso si possa considerare infondata la riqualificazione, poiché altrimenti si giungerebbe al paradosso di penalizzare ciò che, stipulando due cessioni distinte, diventerebbe non aggredibile.

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