Conferimenti intra Ue con regime di neutralità «indotta»
La risoluzione 43/E/2017 ha affermato l’inapplicabilità della disciplina recata dell’articolo 177, comma 2, del Tuir al conferimento da parte di una società per azioni residente in Italia della partecipazione totalitaria detenuta in una società di capitali residente nel Regno Unito in una società di capitali anch’essa residente nel Regno Unito (fattispecie estranea all’ambito di applicazione degli articoli 178 e 179 del Tuir, attuativi della direttiva fusioni). L’inapplicabilità dell’articolo 177, comma 2, del Tuir a fattispecie coinvolgenti società conferite o conferitarie residenti in Stati Ue o See con scambio di informazioni presenta tuttavia profili di contrarietà al diritto di stabilimento agli articoli 49 e seguenti del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (Tfue).
La mancata estensione del regime di neutralità indotta all’articolo 177, comma 2 alla fattispecie in esame determina infatti una restrizione che, come rilevato dalla Corte di giustizia Ue (Cgue) in relazione ad una fattispecie analoga, è «unicamente determinata dal luogo della sede della società acquirente» e della società conferita (Cgue, 19 luglio 2012, causa C-48/11, A Oy, punto 27, con riferimento alla illegittimità della normativa finlandese, che accordava il regime di neutralità fiscale di cui alla direttiva fusioni agli scambi di partecipazioni di controllo puramente domestici, senza tuttavia estendere il predetto regime nel caso di società acquirente residente in uno Stato See).
L’inapplicabilità del regime di cui all’articolo 177, comma 2 non pare giustificata neppure da motivi imperativi di interesse generale, quale il mantenimento di un’equa ripartizione della potestà impositiva tra Stati. La potestà impositiva italiana sulla plusvalenza maturata sulla partecipazione oggetto di conferimento è assicurata dal fatto che la società conferente residente in Italia mantiene in ogni caso una partecipazione nella conferitaria non residente, la quale, ove alienata, farebbe emergere l’eventuale plusvalore latente tassabile in Italia.
Non pare decisivo, in questa prospettiva, neppure il fatto che l’articolo 177, comma 2, individui nel valore della partecipazione conferita iscritto nelle scritture contabili della conferitaria il parametro per determinare l’ammontare del reddito assoggettato ad imposta in capo alla conferente e, dunque, il valore fiscale per quest’ultima della partecipazione nella conferitaria ottenuta per effetto del conferimento. Tale valore contabile è infatti conoscibile da parte dell’agenzia delle Entrate, stante l’esistenza di adeguati strumenti di cooperazione amministrativo-tributaria tra gli Stati membri Ue e See.
Un secondo argomento astrattamente invocabile per giustificare la restrizione in oggetto attiene alla necessità di contrastare fenomeni elusivi, quali, ad esempio, la trasformazione di una partecipazione che non possa godere del regime pex in una partecipazione che possa godere di tale regime. Nondimeno, tale obiettivo non può giustificare una presunzione generale di elusione fiscale che pregiudichi l’esercizio di una libertà fondamentale (inter alia, Cgue, 29 novembre 2011, C 371/10, National Grid Indus, punto 84) e del resto rimarrebbe applicabile in tal caso l’articolo 177, comma 3, che nega l’applicazione del regime di neutralità indotta nei casi di conferimento di partecipazioni non Pex in cambio di partecipazioni Pex.
I medesimi argomenti di carattere comunitario non appaiono invece invocabili in caso di conferimenti coinvolgenti società conferite o conferitarie residenti in Stati terzi. Il Tfue estende infatti agli Stati terzi solamente la libertà di circolazione dei capitali, mentre la Corte di giustizia ha inquadrato gli scambi di partecipazioni recati dalla direttiva fusioni nell’ambito esclusivo della libertà di stabilimento (C-48/11, A Oy).
Agenzia delle Entrate, risoluzione 43/E/2017

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