Contabilità

Crediti deteriorati, l’imposta può seguire l’imponibile o “attendere” la nota di variazione

di Michele Brusaterra

Nota di accredito e perdita su crediti restano ancora separate, pertanto il comportamento contabile per la rilevazione di quest’ultima può essere duplice.
Dopo un tentativo di nozze fra le note di variazioni in diminuzione e le perdite su crediti, con riferimento ai debitori assoggettati a procedure concorsuali, posta in essere dalla legge di stabilità per il 2016, la promessa è naufragata e le due norme rimangono ancora separate.
L’articolo 101, del Testo unico delle imposte sui redditi, al comma 5 stabilisce che le perdite su crediti sono fiscalmente ammesse in deduzione, qualora le stesse godano degli elementi della certezza e precisione.
Tali elementi sono riconosciuti implicitamente dalla norma qualora il debitore sia assoggettato a procedure concorsuali. In questo caso, quindi, il semplice assoggettamento alla procedura porta alla immediata deducibilità della perdita transitata in bilancio.
Ma un credito commerciale solitamente è costituito sia dall’imponibile che dall’imposta, visto che la cessione del bene o la prestazione del servizio che l’ha fatto sorgere è soggetto, sempre in linea generale, ad Iva.
Visto, quindi, che la nota di accredito per recuperare l’imposta addebitata in fattura al cliente, e a suo tempo già liquidata dal fornitore, non può essere emessa prima che non si sia verificata l’infruttuosità della procedura concorsuale stessa, ciò significa che qualora l’impresa porta a perdita il credito al momento dell’apertura della procedura, il credito risulterà formato, appunto, sia dall’imponibile che dall’imposta.
Essendo tutto credito, quindi, il fornitore può decidere di assumere due comportamenti nel momento in cui decide di portare a perdita l’importo vantato e non ancora riscosso: portare a perdita imponibile e anche corrispondente imposta, ovvero portare a perdita il solo imponibile lasciando l’imposta ancora iscritta fra i crediti in attesa di emettere la nota di variazione in diminuzione che la neutralizzerà. In quest’ultimo caso, infatti, a fronte dell’emissione della nota di accredito, a livello contabile l’emittente dovrà addebitare l’Iva a credito chiudendo, contestualmente, il credito – per la sola imposta – rimasto aperto nei confronti del cliente.
Evidenziando che, nel caso in cui a perdita venga portato sia l’imponibile che l’imposta, dovrà essere rilevata una sopravvenienza attiva qualora, successivamente, vi sia l’emissione della nota di variazione in diminuzione, è necessario tenere conto, nel decidere quale comportamento assumere, che da un punto di vista civilistico vige il principio della prudenza.
A proposito dei crediti è doveroso che in bilancio restino iscritti quelli che si presume possano essere realizzati. Visto, quindi, che l’imposta fa parte di un credito Iva “deteriorato”, tant’è che ne viene rilevata la perdita, si ritiene che anche l’imposta debba comunque confluire nella predetta perdita su crediti contabilizzata a livello di bilancio.
In tal modo, dunque, anche da un punto di vista delle imposte dirette l’importo che troverà deduzione fiscale sarà formato dall’imponibile e dall’imposta e, in caso di successiva emissione della nota di variazione per chiusura infruttuosa della procedura, si dovrà rilevare, come già detto, oltre al credito Iva anche una sopravvenienza attiva.

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