Adempimenti

Crediti Iva, recupero a due tempi

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di Davide Cagnoni e Angelo D’Ugo

Le verifiche sulla spettanza dei crediti maturati dai contribuenti inciampano sui termini d’accertamento. Può succedere, in particolare, per i crediti Iva.

Mediante gli «atti di recupero del credito d’imposta» (articolo 1, comma 421 della legge 311/2004) l’amministrazione finanziaria procede alla «riscossione di crediti indebitamente utilizzati, in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del Dlgs 241/97».

Questi atti sono utilizzati per accertare e sanzionare gli utilizzi dei crediti Iva in compensazione esterna per un importo eccedente il limite massimo previsto dall’articolo 34 della legge 388/2000 (516.456,90 euro fino al 2013 e 700mila dal 2014).

Il dualismo dei termini

Le modalità di notifica seguono quelle degli accertamenti ordinari, quindi la notifica scade il 31 dicembre del quinto anno (quarto fino al 2015) successivo a quello di indebito utilizzo del credito in compensazione.

Per colpire in modo più efficace le indebite compensazioni “pericolose”, invece, il legislatore ha previsto che per i crediti inesistenti (in relazione ai quali manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante la liquidazione automatica della dichiarazione) gli atti di recupero possano essere notificati entro il più ampio termine del 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello dell’utilizzo (articolo 27 Dl 185/2008).

Anche per le sanzioni è stata operata una netta distinzione. Il Dlgs 158/2015, infatti, modificando l’articolo 13 del Dlgs 471/1997 ha da un lato individuato specifiche sanzioni per l’indebita compensazione a seconda della tipologia di credito (30% dei crediti esistenti ma indebitamente utilizzati e dal 100 al 200% dei crediti inesistenti) e, dall’altro, ha introdotto una definizione ad hoc di credito inesistente.

Per effetto di questa distinzione, l’Agenzia dovrebbe pertanto emanare gli atti di recupero distinguendo i crediti esistenti da quelli inesistenti in quanto le conseguenze in materia di sanzioni e termini di accertamento sono differenti. Nella prassi, tuttavia, capita che la distinzione non viene operata e gli uffici proseguano nel considerare sempre valido il maggior termine decadenziale di otto anni a prescindere dalla tipologia di credito contestato.

In presenza di crediti esistenti irregolarmente utilizzati, quindi, come nel caso del credito Iva cristallizzato in dichiarazione ma utilizzato in compensazione esterna nell’anno solare oltre i limiti previsti dalla norma, l’ufficio pretende (erroneamente) di beneficiare di otto anni per notificare l’atto, riaprendo annualità ampiamente prescritte.

La difesa

In queste situazioni, prima di avviare il contenzioso, è possibile richiedere l’annullamento dell’atto in autotutela in quanto illegittimo per inesistenza della pretesa (ricordando che l’istanza di autotutela non sospende i termini per il ricorso). Le motivazioni dovrebbero fondarsi principalmente sul tenore letterale della norma in base alla quale la possibilità di estendere gli ordinari termini di accertamento è concessa esclusivamente agli atti di recupero dei crediti inesistenti (articolo 27, comma 16, del Dl 185/2008). La relazione illustrativa al decreto precisa che la modifica normativa si è resa necessaria per garantire termini di controllo più ampi rispetto a quelli ordinari proprio per la difficoltà di rinvenire fenomeni fraudolenti. Non essendovi dubbi che lo splafonamento della compensazione del credito Iva non insegua alcuno scopo fraudolento, l’applicazione dei maggiori termini di accertamento travalica gli obiettivi della norma. La stessa Agenzia (risoluzione 27 novembre 2008 n. 452/E e circolare 8/E del 13 marzo 2009) ha già chiarito che la compensazione esterna del credito Iva per importi oltre la soglia non configura un utilizzo di credito inesistente, proprio perché non si verifica condotta fraudolenta.

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