Dal Ticino regole chiare sulla tassazione dei bitcoin
A pochi chilometri dal confine con la Lombardia, dal punto di vista sia regolatorio che fiscale, il panorama interpretativo sulle criptovalute (rinominate dall’ultimo G20 «cryptoassets») è ormai chiaro. La Svizzera, dopo aver regolamentato le Initial coin offering o Ico, si consacra come il territorio più adatto per gli investitori e le aziende che sviluppano criptovalute, facendo chiarezza anche sulla loro tassazione. I contribuenti elvetici sono, infatti, già oggi in grado di conoscere in anticipo e con certezza a quali modalità verranno sottoposte le loro operazioni riguardanti valute virtuali. Con i loro documenti di prassi, in assenza di specifiche direttive federali, le divisioni delle contribuzioni dei diversi Cantoni stanno fornendo informazioni chiare.
È il caso del documento ufficiale di prassi dell’amministrazione finanziaria del Cantone Ticino. Gli equivalenti dei nostri uffici finanziari hanno fatto, in attesa di arrivare a una normativa generale, una scelta di campo e hanno considerato le criptovalute come delle vere e proprie valute estere. Ne deriva una serie di conseguenze a cascata. Infatti, le criptovalute saranno sottoposte all’imposta sulla sostanza in Svizzera (una sorta di imposta patrimoniale, in Ticino 0,65%). Dovranno, poi, essere inserite nella dichiarazione dei redditi dei residenti svizzeri come elementi della sostanza mobiliare. Le istruzioni delle autorità elvetiche infatti richiedono che vengano inseriti preferibilmente nella rubrica della dichiarazione denominata «Elenco dei titoli e di altri collocamenti di capitali» o nella rubrica «Numerario, biglietti di banca, oro e altri metalli preziosi».
Per facilitare il compito dei contribuenti gli uffici finanziari cantonali indicano anche degli strumenti di consultazione sui cambi. Per il Bitcoin, il tasso di cambio è consultabile sul listino dei corsi ufficiali dell’amministrazione federale. Per le altre criptovalute,potranno essere utilizzate in dichiarazione le conversioni espresse generalmente nelle principali valute al momento della fine del periodo fiscale, calcolando il relativo controvalore in franchi svizzeri.
Per quanto riguarda le disponibilità in criptovalute detenute da imprese commerciali a fronte del pagamento di vendite di merce o prestazioni di servizi derivanti dall’esercizio di un’impresa commerciale, industriale, artigianale, agricola o forestale, da una libera professione o da ogni attività lucrativa indipendente, le autorità fiscali cantonali richiamano i princìpi di valutazione e di presentazione regolare dei conti. Quindi, la valutazione delle criptovalute detenute dalle imprese tassabili in Svizzera dovrà essere effettuata al valore contabile fiscale.
Relativamente ai pagamenti ricevuti in criptovaluta, questa operazione fiscalmente è da considerare come un reddito in valuta estera, da convertire in franchi svizzeri. In questo caso, il controvalore in franchi della criptovaluta deve essere riportato nella dichiarazione dei redditi.
Le amministrazioni finanziarie cantonali indicano anche le modalità per dare prova del possesso delle valute virtuali: infatti, considerato che non vi sono attualmente banche che effettuano una reportistica dedicata alle valute «criptate», chiedono ai contribuenti di produrre un’autocertificazione corredata dalla stampa della videata della piattaforma internet dove i contribuenti visualizzano i loro averi in criptovaluta.
Interessante anche la prassi dell’amministrazione finanziaria elvetica riguardante i cosiddetti i globalisti (ossia quei soggetti esteri che stipulano un tax ruling con la Svizzera per diventare residenti): le criptovalute sono da considerare come elementi di sostanza nel calcolo di controllo unicamente se le stesse sono di fonte svizzera. Qualora invece siano detenute attraverso app, ovvero siti internet o banche straniere non vanno considerate ai fini della tassazione.
Riguardo alle imposte dirette, secondo l’amministrazione delle contribuzioni, l’acquisto e la vendita delle criptovalute è da considerarsi un’operazione fiscalmente assimilata a una transazione di valuta tradizionale, appartenente alla sostanza privata del contribuente, quindi non tassabile. In territorio elvetico, per le persone fisiche gli utili o le perdite che ne derivano rappresentano infatti degli utili in capitale non imponibili o delle perdite in capitale non deducibili.
Esiste solo un’eccezione per i residenti svizzeri che effettuino delle negoziazioni frequenti in criptovalute che possano configurare il «quasi commercio di titoli» e soggiacere all’imposta sul reddito. Ma questa fattispecie è residuale. Da ultimo l’amministrazione cantonale invita i contribuenti a sottoporle casi particolari come la valutazione sulla tassazione delle attività di “mining”, “initial coin offering” (Ico), valutazione di startup con criptovalute, differenze di cambio, piani di incentivi in criptovalute.
A questo punto ci si chiede: cosa aspetta anche il nostro Paese ad adottare una regolazione così chiara? Eppure siamo stati i primi in Europa a dare una definizione normativa di criptovaluta nel recepimento della IV direttiva antiriciclaggio.