Dalla trasformazione utili a tassazione «qualificata»
Le riserve di utili delle società di capitali, trasformate in società semplici, entrano nei redditi dei soci, ma per le partecipazioni non qualificate manca il rigo. Infatti, tra i problemi che gli studi professionali stanno affrontando in questo periodo dedicato al calcolo delle imposte, ha un certo rilievo quello della tassazione degli utili compresi nel patrimonio delle società di capitali che si sono trasformate in società semplici entro il 30 settembre 2017.
Lo scorso anno c’è stata infatti la riapertura dei termini - ad opera dell’articolo 1, comma 565 della legge n. 232/2016 - dell’agevolazione originariamente prevista dall’articolo 1, commi 115 e seguenti della legge n. 208/2015. Il vero problema, in realtà, riguarda i soci non qualificati, essendo soggetti ad una ritenuta che la società trasformata non ha avuto l’obbligo di effettuare.
I componenti straordinari emergenti dalla trasformazione (derivanti dall’uscita dei beni dal regime d’impresa e quantificati con riferimento al costo fiscalmente riconosciuto dei beni stessi) vanno distinti tra plus/minusvalori:
•riguardanti i beni agevolati (immobili e beni mobili strumentali), cui si applicano le stesse regole dell’assegnazione (imposta sostitutiva dell’8% o del 10,5%, possibilità per gli immobili di adottare il valore catastale);
•afferenti gli altri beni, ai quali si applicano le ordinarie regole della destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.
A questi oneri occorre aggiungere:
•l’imposta sostitutiva del 13% su tutte le riserve in sospensione d’imposta, in quanto il regime di sospensione fiscale cessa con la trasformazione (quadro RQ del modello dichiarativo);
•per le società di capitali, la tassazione in capo ai soci di tutte le riserve di utili, poiché esse si intendono distribuite nel periodo d’imposta successivo a quello di trasformazione.
Ai sensi del comma 118 dell’articolo 1 della legge 208/2015, il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute dai soci delle società trasformate viene aumentato della differenza assoggettata ad imposta sostitutiva, riducendo il capital gain imponibile in caso di successiva cessione delle quote di società semplice. Il rebus riguarda l’imposizione sulle riserve di utili delle società di capitali, ed in particolare sui dividendi da attribuire ai soci non qualificati. Come anticipato, infatti, la «decommercializzazione» della società comporta che tutti gli utili si intendono distribuiti, non avendo la società semplice un bilancio da cui far emergere la mancata distribuzione. Se i soci della società trasformanda sono tutte persone fisiche con una partecipazione qualificata, il problema non si pone: essi riporteranno (pro quota) gli utili di cui si presume la distribuzione nella propria dichiarazione (rigo RL1) ed assolveranno l’imposta personale sulla quota imponibile dei dividendi (40%, 49,72% o 58,14% a seconda dell’anno di formazione degli utili).
Per i soci non qualificati, invece, le regole generali imporrebbero alla società l’applicazione della ritenuta alla fonte del 26%, senza obblighi dichiarativi in capo al socio. Tuttavia, la società semplice non è, a questi fini, indicata tra i sostituti d’imposta dall’articolo 27 del Dpr n. 600/1973 (mentre lo è, ad esempio, per le ritenute sui redditi di lavoro dipendente ed autonomo, articolo 23 e 25), tant’è che la Dre Piemonte, in una risposta resa il 18 maggio 2006, ipotizzò di considerare tutti i soci come soci qualificati.
Questa soluzione appare ben poco soddisfacente dal lato sistematico, anche se, paradossalmente, mentre quando venne suggerita appariva penalizzante, oggi (con la ritenuta d’imposta incrementata dal 12,50% al 26%) sarebbe addirittura vantaggiosa per i soci. Ai soci non qualificati a cui non è stata effettuata alcuna ritenuta non resta che dichiarare il dividendo alla stessa stregua dei soci qualificati. L’incertezza creata dall’assenza di chiarimenti non può che portare ad una disapplicazione delle sanzioni.