Controlli e liti

Danni ai creditori per l’inerzia del Cda

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di Patrizia Maciocchi

Risarciscono i creditori per la cattiva gestione del gruppo assicurativo gli amministratori e i sindaci della società, in liquidazione coatta, che hanno consentito una gestione “unipersonale”. La Cassazione (sentenza 31204/2017) ricorda l’obbligo di controllo a 360 gradi che nelle Spa accomuna amministratori non esecutivi e indipendenti, sindaci, revisori e organismo di vigilanza previsto dal Dlgs 231/2001 sulla responsabilità degli enti.

Un sistema policentrico per garantire in modo rafforzato, grazie all’eterogeneità della “vigilanza”, il rispetto delle regole, allo scopo di diffondere una cultura della legalità imprenditoriale. Regola che vale tanto più per le imprese particolarmente interessanti per il mercato, come le banche e le assicurazioni, vista la delicatezza dell’oggetto sociale. E un più stringente dovere di controllo c’è quando la struttura societaria fa parte di un gruppo o sia, come nel caso esaminato, a ristretta base in cui una famiglia detiene la maggioranza del capitale e può essere soggetta ad influenze esterne anche pregiudizievoli.

Nel mirino dei giudici sono finiti una serie di fatti di mala gestio, rispetto ai quali il consiglio di amministrazione non si è attivato: dall’emissione di polizze cauzionali per una somma superiore al capitale sociale senza adeguate “certezze”, alle fideiussioni a garanzia dell’adempimento di obbligazioni assunte da compagini estere senza affettiva istruttoria. Il tutto in assenza di rilievi da parte di amministratori e sindaci malgrado, in particolare, le polizza cauzionali emesse dalla società fossero state annotate nel “repertorio dei contratti stipulati” e nel “registro dei premi emessi”.

Le mancate verifiche avevano consentito la reiterata emissione di polizze, da parte di organi societari non autorizzati dal Cda, nonostante queste rappresentassero il 70% del fatturato complessivo.

La Cassazione sottolinea che anche la semplice minaccia di ricorrere ad un’autorità esterna può essere un deterrente, dal punto di vista psicologico e contribuire a fermare le condotte illecite.

Non sono invece valide le giustificazioni dei ricorrenti. Per la Corte, anche il dissenso, pur verbalizzato, non basta a negare la responsabilità. Né servono ad escludere la colpa le dimissioni del consigliere: la diligenza «impone piuttosto un comportamento alternativo, equivalendo le dimissioni ad una sostanziale inerzia».

I giudici di merito avevano verificato che gli organi delegati avevano intrapreso le operazioni di loro iniziativa, informando solo in seconda battuta e in modo incompleto il Cda. Una gestione anomala messa in atto senza che nessuno degli amministratori non esecutivi e dei sindaci rispettasse gli obblighi assunti col ruolo. E la generica affermazione di non essere stati informati dai delegati sul dettaglio delle operazioni, a causa delle “conduzione” unipersonale della famiglia che deteneva il pacchetto di maggioranza, lascia inalterata la colpa.

Non passa neppure la difesa dei consiglieri che avevano affermato di aver ricoperto una carica solo formale, partecipando solo sporadicamente alle riunioni, essendo privi di delega e di poteri di controllo rispetto all’unico dominus del gruppo.

Anche i componenti non operativi del Cda avrebbero dovuto attivarsi, chiedendo conto delle operazioni “sospette”. Era necessario pretendere che i delegati fornissero spiegazioni in consiglio in adempimento del dovere di buona amministrazione, specie in una società assicurativa in cui gli interessi di terzi e creditori sono di tale rilevanza da aver predisposto un regime di vigilanza ad hoc.

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