Definizione delle liti, necessario un restyling per modulare la somma dovuta sullo stato del processo
Il Dl 50/2017 è in fase di conversione ed è quindi l’occasione giusta (e ultima) per suggerire interventi atti al miglioramento della disciplina sulla definizione agevolata delle controversie tributarie. Miglioramenti che in taluni casi appaiono semplicemente opportuni mentre in altri addirittura indispensabili, almeno per evitare complicazioni e fraintendimenti che rischiano di creare inutili occasioni di contenzioso: contenzioso che, per inciso, la definizione agevolata vorrebbe ridurre. Ragioni di opportunità, ma che potrebbero condizionare il successo dell’iniziativa, attengono innanzitutto alla determinazione delle somme da versare ai fini della definizione. Ad oggi, infatti, la misura è unica ed è pari all’imposta richiesta con l’avviso impugnato, oltre agli interessi per ritardata iscrizione a ruolo, senza considerazione alcuna per le decisioni giudiziali nel frattempo intervenute.
A rendere più appetibile la definizione agevolata, con ogni evidenza, dovrebbe intervenire una modifica che moduli gli importi in ragione delle sorti del processo. Ancora per ragioni di opportunità (e di appetibilità dell’iniziativa) si potrebbe poi intervenire per aumentare il numero delle rate, ad oggi limitate a tre. Per le medesime ragioni, si suggerisce di includere nella definizione le liti in cui è parte anche Equitalia, se non altro perché, in talune ipotesi, queste potrebbero non aver potuto beneficiare della rottamazione dei ruoli (ad esempio nel caso in cui le partite sono state stralciate dopo la sentenza di primo grado).
Su un piano diverso si pongono poi le modifiche che invece appaiono necessarie. Così, per evitare inutili complicazioni, occorrerebbe chiarire meglio il rapporto con la rottamazione dei ruoli ( Dl 193/2016 ). Vero è che, espressamente, è previsto che se il contribuente ha manifestato la volontà di avvalersi della rottamazione dei ruoli può usufruire della definizione agevolata delle controversie tributarie solo unitamente alla prima. Tuttavia non è chiarito cosa accada nei caso in cui, per qualsiasi ragione, l’istanza di rottamazione dei ruoli non venga accolta oppure il contribuente decada. Ed ancora, mentre per la rottamazione dei ruoli si sono regolati gli effetti della decadenza, senza dire nulla sul momento di perfezionamento, qui accade il contrario: si precisa quando interviene il perfezionamento ma nulla si dice di cosa accada in caso di mancato pagamento delle rate successive. Si prevede la notifica di un provvedimento di diniego, che però è successivo sia al perfezionamento sia al completo pagamento delle somme dovute, per cui non è ben chiaro il senso e la portata di un siffatto diniego. Sul punto sarebbero opportune delucidazioni in sede normativa, per evitare defatiganti contestazioni in futuro. La disciplina stabilisce inoltre che dagli importi dovuti vanno scomputati quelli già versati, o per effetto della riscossione in pendenza di giudizio o in ragione della rottamazione dei ruoli. Quello che non è chiarito, ma che invece occorrerebbe precisare, è che dagli importi dovuti vanno scomputate tutte le somme versate, a titolo di imposta come anche di sanzione; per chiarire, insomma, che la diversa (e criticabile) soluzione, che non considera quanto versato a titolo di sanzione, resta circoscritta alla sola rottamazione dei ruoli. Altre questioni su cui si sollecitano cambiamenti attengono al diniego della definizione. Questo è dichiarato espressamente impugnabile entro sessanta giorni dalla notifica, ma dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la lite; sennonché, in questo modo, si rischia di privare il contribuente di un grado di giudizio (almeno nel caso in cui la lite sia pendente in regionale). Peraltro, nel caso in cui la lite sia pendente in Cassazione non si capisce proprio come sia proponibile l’impugnazione del diniego.
Viene ipotizzata inoltre l’impugnazione congiunta del diniego con la sentenza sulla lite da definire; si tratta di una soluzione che rischia di ingenerare inutili complicazioni processuali, per cui sarebbe preferibile rivedere questa eccentrica previsione. Altra eccentrica previsione è quella per cui la definizione perfezionata da un coobbligato giova agli altri, inclusi quelli per i quali la controversia non sia più pendente. Ebbene la formula “non più pendente”, segnatamente la locuzione ’più’, si presta a fraintendimenti, perché sembrerebbe voler intendere che la definizione prevale anche sul giudicato (che invece sarebbe fatto salvo dal comma 7). È più semplice chiarire che la definizione vale anche per il coobbligato, salvo che nei suoi confronti sia già intervenuta sentenza passata in giudicato. Insomma, margini per fare miglioramenti ce ne sono. Occorre volontà politica per attuarli, con la consapevolezza che il successo di un’iniziativa come è quella della definizione agevolata si misurerà non solo per il gettito che saprà procurare ma anche per l’effetto deflattivo che saprà realizzare. Occorre evitare che le inutili indeterminatezze e complicazioni della disciplina possano un domani essere fonte di un altrettanto inutile contenzioso.