Controlli e liti

E i controlli vanno al test della Consulta

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di Antonio Iorio

Oggi la Corte costituzionale affronterà la questione del contraddittorio preventivo e, segnatamente, della sua obbligatorietà rispetto ai controlli cosiddetti «a tavolino» nonché della necessità di redigere sempre e comunque al termine di un controllo un verbale di constatazione. La questione è stata sollevata da Ctr Toscana, Ctr Campania, Ctp Siracusa.

Il diritto al contraddittorio nel nostro ordinamento è previsto da alcune norme; gli uffici solo in applicazione di tali disposizioni convocano il contribuente prima di emettere un atto nei suoi confronti. Per la giurisprudenza comunitaria, invece, ogni cittadino ha diritto di essere ascoltato prima che nei suoi riguardi sia emesso un atto che incida sul suo patrimonio: da qui l'esistenza di un generale obbligo di riconoscimento del diritto al contraddittorio preventivo.

La giurisprudenza di legittimità è intervenuta ripetutamente e, per ben tre volte, a sezioni unite. È ormai pacifica l'applicazione dell'istituto in tutte le ipotesi di accesso presso i locali del contribuente. È il caso degli accertamenti emessi in seguito a verifica, per i quali occorre attendere almeno 60 giorni per l'emissione del provvedimento decorrenti dalla data di consegna del Pvc (ex articolo 12 comma 7 della legge 212/2000).

I contrasti restano per i controlli in ufficio («a tavolino») per i quali non si redige di norma alcun Pvc. Nella penultima sentenza delle sezioni unite (19667/2014) sembrava essersi risolta la questione: per tutte le attività di controllo è obbligatorio un confronto preventivo pena la nullità dell'atto impositivo (finanche, come nel caso della pronuncia, per il preavviso di ipoteca). In effetti, sembrava la soluzione più ragionevole per non creare un'ingiustificata distinzione in base al tipo di controllo subito dal contribuente.

Con la sentenza 24823/2015, l'alto consesso è giunto, invece, a conclusioni totalmente differenti: non esiste nel nostro ordinamento un diritto generalizzato al contraddittorio preventivo, salvo non sia espressamente previsto per legge. Si tratta, infatti, di un principio di derivazione comunitaria e pertanto applicabile solo ai tributi “armonizzati”. Tuttavia, anche per questa ipotesi, perché operi la sanzione di nullità del provvedimento, il contribuente deve dimostrare che in tale sede avrebbe concretamente potuto produrre elementi difensivi. In altre parole per verificare le conseguenze processuali degli accertamenti, che non sono stati preceduti dal contraddittorio preventivo, occorre valutare non solo se il controllo sia stato svolto in azienda o in ufficio ma, anche in quest'ultimo caso, se la rettifica riguardi un tributo armonizzato o meno.

Sul punto le Sezioni unite hanno precisato che, a differenza del diritto Ue, il diritto nazionale non obbliga al contraddittorio endoprocedimentale, a pena di invalidità dell'atto. Quindi solo in tema di tributi “armonizzati”, quale è l'Iva, l'amministrazione è tenuta ad attivare il contraddittorio a pena di nullità del provvedimento.

A questo punto appariva fondamentale l'intervento di oggi della Corte costituzionale.

Tuttavia l'odierna convocazione in camera di consiglio della Consulta non fa ben sperare. L'udienza camerale normalmente riguarda i casi in cui sia stata ravvisata manifesta infondatezza, manifesta inammissibilità, ovvero una restituzione degli atti al giudice rimettente

Speriamo non sia così, perché le attese di tutti gli interessati, sono altissime. Il rischio è che, ancora una volta, quando occorre assumere posizioni contrarie all'amministrazione finanziaria, prevalgano le ragioni erariali con buona pace dei diritti dei cittadini/contribuenti.

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