E-fattura, minimi e forfettari al bivio della conservazione digitale
È un meccanismo di conservazione a più vie quello che le Entrate delineano per i contribuenti minimi e forfettari che si troveranno, dal 1° gennaio 2019, a ricevere fatture in formato elettronico a cartaceo. Nelle Faq pubblicate dall’Agenzia mercoledì 28 novembre sul proprio sito internet, si legge che tali soggetti:
non hanno l’obbligo di conservare elettronicamente le e-fatture ricevute «nel caso in cui il soggetto non comunichi al cedente/prestatore la Pec ovvero un codice destinatario con cui ricevere le fatture elettroniche» (in questo caso la fattura ha il codice di default «0000000»);
restano obbligati negli altri casi di ricezione (si veda anche Il Sole 24 Ore di giovedì 29 novembre).
L’intento è senz’altro quello di dettare una semplificazione, ma non si può non rilevare come il pronunciamento delle Entrate arrivi a ridosso dell’obbligo – dopo che molti contribuenti si sono già dotati di software per la conservazione – e contraddica il combinato disposto dell’articolo 39, comma 3, del decreto Iva (Dpr 633/1972) e dell’autorizzazione di Bruxelles.
Anche facendo prevalere le Faq sulla legge - in questo caso a favore del contribuente - vanno rilevati un paio di problemi pratici. Con ogni probabilità, le Entrate collegano la conservazione alla «comunicazione» della Pec o del codice destinatario per lasciare a minimi e forfettari la facoltà di scegliere come conservare le fatture ricevute. Però può succedere che il codice destinatario - pur comunicato - non venga usato da chi emette la fattura, ad esempio per una svista. Così come, di contro, può capitare che un emittente che già conosce la Pec del forfettario o che la trova su internet, emetta una e-fattura usando la Pec (anche se nessuno gliel’ha comunicata o se gli è stato detto di non usarla).
Una soluzione pratica potrebbe essere di farsi guidare dalla codifica: conservazione possibile in modalità cartacea se c’è «0000000»; obbligatoria in modalità elettronica se c’è il codice destinatario o si usa la Pec. Ma le Faq, a stretto rigore, dicono altro.
Fatture cartacee e verso la Pa
Sotto un altro aspetto, bisogna ricordare che minimi e forfettari potranno trovarsi nel 2019 a ricevere anche documenti in formato cartaceo: bollette doganali, ad esempio, ma anche fatture d’acquisto emesse da altri soggetti nei regimi agevolati (pensiamo alla fattura con cui un tecnico informatico nel regime dei minimi addebita il costo della riparazione di un Pc a un avvocato nel regime forfettario).
Nelle Faq le Entrate non fanno cenno all’emissione di fatture nei confronti della pubblica amministrazione da parte di minimi e forfettari. La norma di legge, però, delinea un obbligo di carattere generale (articolo 1, comma 209, legge 244/2007). A Telefisco 2018 la stessa Agenzia ha confermato l’obbligo, sia pure in una risposta non ancora ufficializzata in un documento di prassi.
Gli scenari
Per minimi e forfettari, dal 2019 si delineano perciò quattro possibilità, rispetto al ciclo passivo e attivo:
fatture elettroniche ricevute con il codice destinatario «0000000»: secondo le Faq delle Entrate possono essere conservate in modalità tradizionale (ferma restando la necessità di confermare il valore probatorio della stampa della fattura elettronica per non incappare nelle prescrizioni dettate dal Codice dell’amministrazione digitale, articolo 23-bis);
fatture elettroniche ricevute con il codice destinatario specifico o tramite Pec: vanno conservate in modalità elettronica;
fatture ricevute ed emesse in forma cartacea: vanno conservate in modalità tradizionale;
fatture emesse in formato elettronico: vanno conservate in modalità elettronica (sia che vengano emesse su base facoltativa, sia che vengano emesse obbligatoriamente, nei confronti di una pubblica amministrazione).
Agenzia delleEntrate, le Faq sulla fattura elettronica