Evasione, il concorso scatta per tutti
La consapevolezza della partecipazione a una frode fiscale del proprio cliente può comportare al consulente la responsabilità in concorso nel reato tributario, a nulla rilevando che non sia l’ispiratore degli illeciti. Per far scattare invece la nuova aggravante nei confronti del professionista dedito alla predisposizione di modelli seriali di evasione occorre l’abitualità e la ripetitività della condotta illecita affinché possa essere riproducibile anche in futuro. Sono questi in estrema sintesi i più recenti orientamenti della Corte di cassazione in tema di responsabilità del professionista per i reati tributari commessi dai propri clienti.
Il dolo
In via generale la responsabilità del consulente, ricorre sicuramente quando egli sia l’ispiratore della frode commessa dal cliente. Più di recente i giudici di legittimità (da ultimo, la sentenza n. 1999/2018, si veda il Sole 24 Ore del 19 gennaio scorso) hanno ritenuto sussistente il concorso nel reato del contribuente da parte del consulente anche quando questi sia soltanto consapevole di porre in essere l’attività delittuosa poiché il dolo si riscontra anche nella semplice conoscenza. Nella specie si trattava di indebite compensazioni certificate dal commercialista e i giudici hanno ritenuto che tale certificazione provasse la conoscenza del reato da parte del professionista.
I «modelli seriali»
Il Dlgs 158/2015 di riforma del regime penale tributario ha inserito un nuovo comma (il 3) all’articolo 13-bis del Dlgs 74/2000: così ora è prevista un’ipotesi di aggravamento della pena fino alla metà, se il delitto è commesso dal compartecipe nell’esercizio dell’attività di consulenza fiscale svolta da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale.
La norma non è particolarmente chiara lasciando così dubbi sul significato di «modelli seriali di evasione fiscale». Il rischio è che un determinato comportamento evasivo ripetuto e a beneficio di vari clienti, possa rappresentare un «modello seriale» per un ufficio, ma non per un altro.
I due presupposti
Secondo le prime pronunce della Suprema corte per la ricorrenza di questa aggravante occorre un presupposto soggettivo e uno oggettivo. Sotto il profilo soggettivo i giudici hanno rilevato (confermando una prima interpretazione fornita nella relazione n. III/5/2015 del Massimario della Suprema corte) che la nozione di «professionista» va intesa in senso sostanziale e quindi chiunque, nell’esercizio della professione, svolge attività di consulenza fiscale (commercialisti, consulenti, avvocati ecc.). Inizialmente invece era stato sostenuto che la norma facesse riferimento solo ai professionisti abilitati dall’agenzia delle Entrate alla trasmissione delle dichiarazioni e non a tutti i soggetti (come ora affermato dalla giurisprudenza) che svolgono attività lato sensu di consulenza fiscale. Per quanto concerne il profilo oggettivo la norma richiede la “serialità” nell’elaborazione o commercializzazione di modelli di evasione. Occorre così una certa abitualità e ripetitività della condotta incriminata, assumendo carattere di riproducibilità anche in futuro.
Nei casi esaminati dalla Suprema corte l’aggravante è stata riconosciuta in capo a un commercialista il quale aveva attivamente predisposto delle modalità di compensazioni effettuate a fronte di crediti inesistenti poi poste in essere da numerosi clienti del professionista stesso
Da evidenziare che nella direttiva per il piano dei controlli emanata dall’agenzia delle Entrate per l’anno 2016 (circolare 16/2016) l’Amministrazione finanziaria, dopo aver segnalato l’entrata in vigore dal 22 ottobre 2015 dell’aggravante, ha invitato gli uffici a valutare la sussistenza di ricorrenze nelle irregolarità riscontrate in più soggetti che si avvalgono di uno stesso consulente/intermediario e quindi, a riscontrare la presenza di elementi che possano dimostrare il ruolo di «ideatore/facilitatore» del professionista stesso.