Imposte

Ex soci ancora nel mirino del fisco

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di Giorgio Gavelli

L’agenzia delle Entrate mette nel mirino gli ex soci delle società cessate. Vediamo, in particolare, i profili di maggiore criticità nella prassi degli uffici.

Vi sono due norme che l’Agenzia utilizza per riscuotere i crediti rivolgendosi agli ex componenti di società cessate:
• l’articolo 36 del Dpr 602/73, che responsabilizza i soci per le imposte dovute dalla società nei limiti del valore dei beni o del denaro ricevuto nel corso della liquidazione o degli ultimi due periodi d’imposta precedenti alla messa in liquidazione;
• l’articolo 2495 del Codice civile, secondo cui dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione.

La prima disposizione, prima dell’entrata in vigore dell’articolo 28 del decreto legislativo 175/2014 (come interpretata dalla Cassazione), poteva essere riferita (in base all’articolo 19 decreto legislativo 46/1999) solo alle imposte sui redditi. Nella prassi però, sia in passato che dopo il Dlgs 175/2014, gli uffici hanno imputato ai soci Irap, Iva, sanzioni e qualunque altra somma dovuta dalla società. Per queste somme, in realtà, per il passato la richiesta può essere fondata solo sull’articolo 2495 del Codice civile, che è norma non tributaria, e non si estende alle somme percepite nel biennio precedente alla messa in liquidazione.

Inoltre, le richieste notificate ai soci sono spesso slegate dai limiti imposti dalle norme riportate, che non vengono nemmeno citati negli atti di accertamento. Viene invece ribaltato sui soci quanto richiesto alla società, ipotizzando una solidarietà (illimitata) che non traspare direttamente dalla norme citate. La logica sottostante sembra essere che le somme accertate siano state distribuite “in nero” e che, quindi, possano essere richieste indipendentemente da ogni risultanza contabile.

Questo modo di operare richiama alla mente l’orientamento societario sulla “ristretta base societaria”, ma le due posizioni non sono assimilabili. Con la “trasparenza” si chiede ai soci l’Irpef sul (presunto) dividendo in nero, mentre qui si chiede al socio di rispondere delle imposte dovute dalla società.

Per le società cessate, la Cassazione è molto chiara (e costante) nel ribadire che la responsabilità dei soci è limitata alla parte di ciascuno di essi conseguita nella distribuzione dell’attivo risultante dal bilancio di liquidazione, sicché l’effettiva percezione delle somme da parte dei soci, in base al bilancio finale, e la loro entità, vanno provate dall’amministrazione finanziaria, secondo il normale riparto dell’onere della prova (articolo 2697 del Codice civile). Nessuna presunzione, quindi, ma prove concrete di quanto effettivamente percepito dai soci, ed è questo lo scopo dello specifico atto motivato previsto dal comma 5 dell’articolo 36 del Dpr 602/73, nella prassi operativa “dimenticato” dagli Uffici.

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