Contabilità

False comunicazioni sociali, la ratio della riforma è salva

di Carlo Alberto Giusti

L’attesa riforma della disciplina del reato di false comunicazioni sociali, ex articolo 2621 e seguenti del Codice civile, attuata con la legge 69 del 27 maggio 2015, ha determinato un profondo e radicale cambiamento nel panorama dei reati societari in quanto, avendo apportato interessanti e innovative modifiche, si pone in forte discontinuità rispetto alla disciplina previgente, che tante critiche aveva attirato. Il legislatore ha, innanzitutto, eliminato le soglie di punibilità che, sin dall’inizio, avevano manifestato un chiaro effetto limitativo nell’applicazione del reato di false comunicazioni sociali o, secondo il linguaggio comune, di falso in bilancio. In secondo luogo, è intervenuto sull’elemento psicologico con l’eliminazione del dolo intenzionale, che rendeva l’accertamento del reato sul piano probatorio alquanto complesso, e con la conferma del meno severo dolo specifico.

Inoltre, è intervenuto anche con un inasprimento del trattamento sanzionatorio, riconoscendo la centralità del cosiddetto falso in bilancio nella costruzione di una struttura efficace nella lotta alla corruzione, di cui lo stesso costituisce, spesso, un’azione prodromica volta alla costituzione dei cosiddetti fondi neri da impiegare nelle pratiche corruttive. Nonostante i favori con cui è stata accolta la modifica normativa, è sorto in giuriusprudenza un importante contrasto interpretativo - idoneo a incidere in maniera negativa sull’applicazione della nuova fattispecie - sulla configurabilità o meno del cosiddetto falso valutativo, a fronte dell’intervenuta abrogazione letterale dell’espressione «ancorchè oggetto di valutazioni» dall’elemento oggettivo delle fattispecie incriminatrici di riferimento. In un primo momento, infatti, la quinta sezione penale della Corte di cassazione aveva ravvisato, con la pronuncia 33774/2015, da un lato, che l’eliminazione dell’espressione «ancorchè oggetto di valutazioni», alla luce di una necessaria interpretazione letterale della norma, fosse idonea a escludere dal novero dei reati di cui agli articoli 2621 e seguenti del Codice civile il falso valutativo e, dall’altro, che la stessa espressione fosse presente in altre fattispecie delittuose – ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza ex articolo 2638 del Codice civile – con la conseguenza che la sua eliminazione sarebbe stata sintomatica di una precisa volontà legislativa in funzione abrogativa del falso valutativo. A ogni modo, in seguito a una pronuncia di segno opposto, la stessa quinta sezione penale della Corte, con una ordinanza depositata il 4 marzo 2016, aveva rimesso alle Sezioni unite la decisione relativa al contrasto interpretativo sopra menzionato. Le stesse Sezioni unite, con la pronuncia 22474/2016, hanno confermato la punibilità del cosiddetto falso valutativo specificando che l’ipotesi di reato in oggetto è ravvisabile laddove uno dei soggetti individuati dalla fattispecie delittuosa, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo a indurre in errore gli stakeholders della società. I giudici della Suprema corte, in questo modo, hanno confermato la ratio ispiratrice della riforma, ossia quella di tutelare il bene giuridico della trasparenza societaria. Infatti, laddove fosse stata confermata la non punibilità del falso valutativo, sarebbe venuto meno uno degli aspetti più importanti della fattispecie normativa, poiché il bilancio è un documento dal contenuto essenzialmente valutativo e, di conseguenza, la mancata possibilità di valutazione in merito al suo contenuto avrebbe influito negativamente sull’intera struttura normativa di riferimento e sull’applicabilità, in concreto, del reato stesso.

Alla luce dell’ultima pronuncia delle Sezioni unite appare chiaro, quindi, che il pericolo, concreto, di depotenziamento della riforma sia stato evitato e che l’unica reale minaccia derivi dall’applicazione dell’istituto della prescrizione.

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