Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: firma digitale, giudizio di ottemperanza e lettere d’intento

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

L’atto firmato digitalmente va notificato via Pec. Costituzione del concessionario solo ad opera di soggetti «interni». Nel giudizio di ottemperanza gli atti impeditivi non bloccano il rimborso. Va sanzionata l’omessa comunicazione delle dichiarazioni d’intento ricevute. Il codice tributo erroneo e il pagamento tardivo non sempre giustificano la condanna alle spese di lite. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

L’atto firmato digitalmente va notificato via Pec
È illegittimo per difetto di sottoscrizione l’accertamento tributario notificato al contribuente in modalità tradizionale, ossia cartacea, se lo stesso riporta solo la dicitura atto firmato digitalmente ed è assente della firma autografa del funzionario. Questo perché soltanto la notifica dell’atto a mezzo Pec consente all’amministrazione di inviare atti con firma digitale. Per contro, se la notifica avviene con modalità cartacea, è necessaria la sottoscrizione autografa, pena l’invalidità dell’atto. Più nel dettaglio, l’atto notificato in maniera cartacea privo di sottoscrizione autografa non permette di verificare la presenza della sottoscrizione digitale, ossia di verificare la presenza della chiavi crittografiche. Infatti, per essere considerato valido, deve recare la sottoscrizione autografa del funzionario, quale espressione della volontà dell’ente impositore. La sottoscrizione del funzionario rappresenta la cerniera tra volontà della persona fisica, che si immedesima nell’ente impositore, ed al quale tale volontà viene imputata.
Nel caso esaminato, l’amministrazione finanziaria notifica ad una società di persona in modalità cartacea l’accertamento relativo all’anno 2011, in cui è apposta la dicitura atto firmato digitalmente. Il contribuente si oppone e sostiene l’illegittimità dell’atto per assenza di sottoscrizione autografa.
Ctp Treviso, sentenza 55/01/2018

Costituzione del concessionario solo ad opera di soggetti «interni»
Nei giudizi tributari, instaurati a far data dal primo gennaio 2016, il Concessionario della riscossione può stare in giudizio direttamente, ossia tramite la persona fisica che ha rappresentanza dell’ente, ovvero tramite propri dipendenti appositamente delegati, e non più tramite soggetti esterni. Questo perché è stata modificata la norma processuale tributaria concernente la capacità di stare in giudizio (articolo 11 del decreto legislativo 546 del 1992, così come modificato dal Dlgs 156/2015), secondo cui, a far data dal primo gennaio 2016, il Concessionario non può essere più rappresentato in giudizio e quindi difeso da soggetti esterni alla propria struttura. Pertanto è nulla la costituzione in giudizio del concessionario resistente per il tramite di un avvocato esterno, e, conseguentemente, la documentazione e l’atto di controdeduzioni da questi depositato non possono essere presi in considerazione ai fini del decisum.
Nel caso esaminato, un contribuente ricorre contro un’intimazione di pagamento notificata dal Concessionario e fondata su cartelle che sostiene di non aver mai ricevuto. Il concessionario resiste costituendosi tramite avvocato non appartenente alla propria struttura, e la Ctp dichiara inammissibile tale costituzione per carenza di legittimazione attiva e per l’effetto non acquisisce la presunta prova dell’avvenuta notificazione delle iscrizioni a ruolo effettuata tramite cartelle esattoriali.
Ctp Modena, sentenza 820/02/2017

Nel giudizio di ottemperanza gli atti impeditivi non bloccano il rimborso
Sbaglia l’amministrazione finanziaria a chiedere la cessazione della materia nel giudizio di ottemperanza giustificata solo dall’invio dell’istanza di rimborso all’ufficio territorialmente competente se la somma non è stata materialmente erogata al contribuente. Intanto perché il semplice invio all’ente competente rientra tra i cosiddetti atti interni e, quindi, non è idoneo ad assicurare la disponibilità effettiva delle somme liquidate al ricorrente. Poi non rilevano nemmeno i cosiddetti atti impeditivi al rimborso dovuti ad eventuali debiti erariali del contribuente, quali compensazioni, fermi amministrativi, sospensione di pagamento, eccetera. Si tratta di istituti che operano solo nel giudizio di cognizione e che non possono trovare applicazione nel giudizio di ottemperanza, ove il giudice è chiamato a pronunciarsi solo in ordine all’esecuzione della sentenza.
Nel caso esaminato, una società ottiene il diritto al rimborso di oltre 580mila euro relativi ad Irpef e Ilor dell’anno d’imposta 1983, con sentenza definitiva del 2013. L’amministrazione finanziaria non adempie e la contribuente promuove giudizio di ottemperanza nel 2017.
Ctr Lombardia, sentenza 109/01/2018

Va sanzionata l’omessa comunicazione delle dichiarazioni d’intento ricevute
Il contribuente, che fornisce beni al cliente qualificatosi come «esportatore abituale», ha l’obbligo di inviare i dati relativi alle lettere di intento ricevute (articolo 7, comma 4-bis, del decreto legislativo 471 del 1997, applicabile ratione temporis) perché l’amministrazione finanziaria possa esercitare le attività di controllo su tale tipologia di operazioni. In caso contrario, risulta legittima l’irrogazione della sanzione per omessa comunicazione delle lettere d’intento ricevute pari al cento per cento dell’iva non esposta in fattura. Ciò perché l’omessa comunicazione delle dichiarazioni d’intento ricevute è una violazione di natura sostanziale e non soltanto formale, perché arreca pregiudizio all’azione di controllo erariale precludendole l’accesso a dati rilevanti per l’eventuale avvio delle procedure di accertamento. Va pertanto la disattesa la natura squisitamente formale sostenuta dal contribuente non potendosi così invocare l’esimente della non applicabilità della sanzione che è invece riservata alle sole ipotesi in cui non venga arrecato alcun pregiudizio alle attività di controllo (articolo 6, comma 5-bis, del Dlgs 472 del 1997).
Nel caso esaminato, l’amministrazione finanziaria, sulla scorta del pvc redatto dai militari della GdF, irroga una sanzione pari al cento per cento dell’Iva non esposta in fattura da un contribuente fornitore di un soggetto qualificatosi come esportatore abituale, per aver lo stesso omesso l’invio telematico delle dichiarazioni d’intento ricevute relative ad operazioni afferenti l’anno 2006.
Ctr Lazio, sentenza 6259/1/2017

Il codice tributo erroneo e il pagamento tardivo non sempre giustificano la condanna alle spese di lite
Va annullata la condanna al pagamento delle spese del giudizio disposta dalla Ctp in capo al ricorrente anche se egli risulta essere parzialmente vittorioso. La condanna al pagamento delle spese processuali, infatti, non trova fondamento, se:
■il giudice di primo grado ha accertato che la pretesa erariale risulta essere non legittima a fronte del pagamento delle somme dovute dal contribuente, anche nel caso in cui il pagamento è stato effettuato non rispettando le date di scadenza e con l’utilizzo di un codice tributo errato);
■ l’amministrazione finanziaria non ha subito alcun danno erariale.
Nel caso esaminato, una Spa si oppone all’iscrizione a ruolo notificata tramite cartella esattoriale con ricorso proposto sia nei confronti dell’amministrazione finanziaria sia nei confronti del Concessionario. È vero che non ha rispettato tempi e modalità di pagamento delle rate dovute e la prima rata è risultata inferiore al dovuto per erroneo utilizzo di un codice tributo. Anche se il ruolo viene annullato, il giudice di primo grado condanna la società al pagamento delle spese di lite una volta compensate a metà nei confronti dell’amministrazione finanziaria per 900euro, e condanna altresì la società al pagamento pieno delle spese di lite pari a 1.500 euro nei confronti del concessionario della riscossione.
Ctr Sardegna sentenza 12/04/2018

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