FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: notifica, fermo amministrativo, note di variazione
L’estensione determina la validità della notifica della cartella tramite Pec. Bookmaker estero solidamente responsabile per l’imposta sulle scommesse. Monete d’oro importate dalla Svizzera esenti da Iva solo se immesse in Italia per investimento. Il riconoscimento di debito non consente l’applicazione alternativa Iva-registro. Via libera alla ripresa analitico-induttiva tramite tovagliometro. Stop al fermo amministrativo sull’auto usata per la propria attività lavorativa. Detrazione Iva legittima per la cessionaria anche a seguito delle note di variazione. Sono questi gli argomenti trattati dalla rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.
L’estensione determina la validità della notifica della cartella tramite Pec
Illegittima la cartella di pagamento notificata a mezzo posta elettronica certificata con estensione pdf in luogo dell’estensione pdf.p7m cioè priva della sottoscrizione digitale. Questo perché, nel caso di notifica a mezzo Pec, l’agente della Riscossione deve rispettare i dettami del Codice amministrazione digitale (Cad) e quindi deve provvedere all’inoltro del documento informatico. Infatti la cartella notificata deve avere le caratteristiche del documento informatico, del quale deve essere garantita sia l’integrità, l’immodificabilità nonché la paternità del documento. È solo la sottoscrizione digitale che consente al documento elettronico di avere tali caratteristiche ai sensi del combinato disposto degli articoli 20 e 21 del Dlgs 82/2005. Pertanto, la cartella inviata è in estensione pdf non rappresenta l’originale informatico dell’atto, ma solamente un a copia elettronica priva di alcun valore giuridico.
Nel caso esaminato, secondo la Ctp Sondrio, l’agente della Riscossione notifica nel febbraio 2017 una cartella di pagamento ad un contribuente tramite Pec portante un’iscrizione a ruolo concernente Irpef per oltre 6mila euro. L’uomo si oppone sostenendo l’irritualità del documento elettronico per non essere stato digitalmente sottoscritto.
•Ctp Sondrio, sentenza 9/2/2018
•Ctp Treviso, sentenza 93/1/2018
Bookmaker estero solidamente responsabile per l’imposta sulle scommesse
Il bookmaker estero, che si avvale dell’impresa italiana esercente attività di raccolte scommesse (Centro trasmissione dati), è con questa solidalmente responsabile per il pagamento dell’imposta unica sulle scommesse, così come si evince dalla corretta ricostruzione della normativa di riferimento.
In primo luogo, in base al decreto istitutivo dell’imposta unica sulle scommesse (articolo 1 della legge 504/1998), l’imposta è dovuta anche per le scommesse accettate nel territorio italiano ed effettuate all’estero. In secondo luogo, l’articolo 3 del Dl dispone che sono soggetti passivi coloro i quali gestiscono, anche in concessione e quindi per conto di terzi, le attività di raccolta di scommesse. Tale articolo è stato oggetto di interpretazione autentica ad opera dell’articolo 1, comma 66 della legge 220 del 2010, che ha chiaramente disposto che del pagamento sono responsabili in solido sia il soggetto – operatore italiano – che svolge attività di Centro trasmissione dati (Ctd) delle scommesse, sia il soggetto bookmaker nell’interesse del quale è svolta l’attività di raccolta delle scommesse.
Né ha valenza la tesi del ricorrente soggetto estero secondo cui l’imposta addebitatagli è in contrasto con la direttiva Ue 2006/112/Ce, dato che la Ue consente agli stati membri di regolamentare la materia delle scommesse anche tramite introduzione di imposta unica che non è identificabile come imposta armonizzata.
Infine è altresì corretta l’irrogazione della sanzione da parte dell’ufficio siccome non vi è alcuna obiettiva e manifesta condizione di incertezza normativa, dato che l’avviso è stato impugnato nel 2017, mentre l’amministrazione doganale aveva già spiegato, tramite apposita Comunicazione n. 2 del giugno 2012, che soggetto passivo d’imposta è anche l’operatore estero.
Nel caso esaminato, l’agenzia delle Dogane notifica a uan Ltd con sede a Malta nel maggio 2017 avviso tramite cui ricupera imposta sulle scommesse relativa al periodo d’imposta 2014 per oltre mille euro oltre sanzioni e interessi, quale coobbligata in solido con il Centro trasmissione dati italiano che si occupa della raccolta scommesse.
•Ctp Varese, sentenza 51/3/2018
Monete d’oro importate dalla Svizzera esenti da Iva solo se immesse in Italia per investimento
L’importazione di monete d’oro provenienti da uno stato extra Ue non sconta le imposte doganali (Iva da importazione) solo se l’immissione di tali beni nel territorio nazionale avviene per scopo d’investimento.
A livello di Iva d’importazione, al fine di beneficiare dell’esenzione, occorre rispettare, in primo luogo, il requisito formale, rappresentato dalla dichiarazione resa dal contribuente di importare tali beni per scopi di investimento, come previsto dall’articolo 68 del decreto Iva. In secondo luogo, il requisito sostanziale, rappresentato dalla possibilità per l’Amministrazione di verificare l’effettiva destinazione di tali beni e quindi la legittimità dell’esonero. Ne consegue che va assoggettata a Iva doganale l’immissione di monete d’oro per il valore di oltre 300 euro – franchigia prevista dall’articolo 2 del Dm 32/2009 – nel territorio italiano proveniente dalla Svizzera ed effettuata ad opera del contribuente, il quale, in sede di controllo doganale, dichiara come le monete sono beni di proprietà di famiglia possedute dai suoi antenati e detenute in Svizzera durante il periodo della seconda guerra mondiale. A livello di sanzioni, poi, il contribuente non può beneficiare nemmeno del pagamento in misura ridotta della sanzione ad un terzo se non provvede alla corresponsione della cifra entro il termine stabilito per la proposizione del ricorso introduttivo con conseguente legittimità della sanzione irrogata dall’amministrazione doganale – comma 3 dell’articolo 303 del Tuld – nella misura del minimo edittale prevista per importazione illegittima di beni.
Nel caso esaminato, un contribuente, nel dicembre 2015 importa dalla Svizzera 59 sterline d’oro e 51 marenghi d’oro del valore complessivo di oltre 22mila euro. In sede doganale dichiara ai militari della Guardia di Finanza che tali monete sono di proprietà di famiglia e che erano state portate in Svizzera dal nonno, di origine ebrea, durante la seconda guerra mondiale. Sulla scorta del Pvc, l’ufficio doganale accerta nel marzo 2017 diritti doganali per oltre 4mila euro – Iva da importazione - e irroga sanzione minima edittale per illecita introduzione di beni pari euro 30mila.
•Ctp Como, sentenza 4/4/18
Il riconoscimento di debito non consente l’applicazione alternativa Iva-registro
Il riconoscimento di debito, seppur dal punto civilistico è una dichiarazione unilaterale di natura ricognitiva tramite cui una parte conferma l’esistenza del debito in base ad un rapporto sottostante, va assoggettato ad imposta di registro se da tale atto viene generato sostanzialmente un nuovo rapporto debitorio, anche se il rapporto sottostante afferisce ad operazioni soggette ad Iva. In primo luogo, la ricognizione di debito è atto di natura dichiarativa soggetto ad imposta di registro ai sensi dell’articolo 3, Parte prima, Tariffa allegata al Dpr 131 del 1986 nella misura dell’un per cento. In secondo luogo, se da tale atto ricognitivo nasce un nuovo rapporto debitorio in sostituzione di quello originario, questo è comunque soggetto all’imposta di registro, e quindi non trova applicazione il principio di alternatività Iva-Registro.
Nel caso esaminato, una società nel 2012 notifica un decreto ingiuntivo nei confronti di un soggetto titolare di ditta individuale per forniture non pagate per oltre 370mila euro. In seguito le parti si accordano in via stragiudiziale ed il titolare della ditta, nel frattempo cessata, sottoscrive atto di ricognizione di debito tramite cui dichiara di essere debitore, in solido con la di lui ditta cessata, nei confronti della società. L’amministrazione, sulla scorta di tale atto, liquida imposta di registro per oltre 9mila euro nei confronti della società tramite avviso notificato nel 2012.
•Ctr Lombardia, sentenza 508/4/2018
Via libera alla ripresa analitico-induttiva tramite tovagliometro
È legittima la ripresa dell’Amministrazione tramite il metodo analitico-induttivo operata nei confronti della società, che di fatto, opera principalmente nel settore della ristorazione con somministrazione, ripresa suffragata da presunzioni che hanno i requisiti di gravità, precisione e concordanza. È valida la tesi dell’Amministrazione che dimostra la presenza di ricavi non dichiarati sulla scorta della ricostruzione operata grazie:
a) al numero di bottiglie di acqua e di vino consumate;
b) alle quantità di materie prime acquistate, nonché delle esistenze e rimanenze di magazzino;
c) ai differenti prezzi praticati a seconda del luogo – platea o galleria – in cui il cliente viene servito;
d) al consumo di cocktail, liquori e spumante, dal momento che il locale offre altresì la possibilità di consumo di sole bevande.
Di contro, non è valida la tesi della società contribuente secondo cui l’operato dell’ufficio è illegittimo siccome la metodologia utilizzata non è applicabile dato che l’attività principalmente svolta è quella di gestione di attività di spettacoli. Difatti, l’utilizzo di tale metodologia, risulta legittimata dalla circostanza che il sessanta per cento dei ricavi deriva da ristorazione mentre solamente il trenta per cento afferisce a ricavi per attività di spettacolo e intrattenimento.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione, sulla scorta di un Pvc redatto dai militari della Guardia di Finanza, accerta con metodo analitico-induttivo maggiori ricavi inerenti l’esercizio 2010 per oltre 59mila euro nei confronti di una Srl il cui oggetto sociale è sia attività di spettacolo ed intrattenimento sia di ristorazione con somministrazione.
•Ctr Lazio, sentenza 570/03/2018
Stop al fermo amministrativo sull’auto usata per la propria attività lavorativa
Il concessionario della riscossione non può adottare una misura cautelare sproporzionata e, quindi, eccessivamente restrittiva per il contribuente, se il debito tributario è esiguo, perché la misura cautelare non può essere adottata aprioristicamente sempre e comunque. A maggior ragione se ha ad oggetto l’auto usata per recarsi al lavoro, perché tale misura cautelare impedisce al contribuente di svolgere la propria attività lavorativa.
•Ctr Sardegna 36/4/2018
Detrazione Iva legittima per la cessionaria anche a seguito delle note di variazione
L’Amministrazione non può affermare che le note di variazione Iva emesse dalla cedente siano state artificiosamente utilizzate per posticipare gli effetti del debito Iva in capo alla concessionaria a seguito dell’avvenuta detrazione dell’Iva. È infondata la tesi erariale secondo cui la cessionaria ha usufruito del maggiore imposta a credito siccome il prezzo di vendita praticato dalla cedente è uguale al prezzo di vendita praticato ai consumatori finali, in difformità dagli accordi contrattuali che prevedevano appunto un scontistica maggiore dato che la cessionaria è impresa affiliata alla cedente. È invece valida la tesi della contribuente, secondo cui le note sono pienamente rispondenti al dettato normativo (articolo 26 del decreto Iva), e non rileva il mancato rispetto dei prezzi indicati nel contratto. È irrilevante il fatto che l’effetto di tale operazione è stato quello di governare sul piano temporale la detrazione Iva a favore del cessionario, poiché l’Iva è un’imposta fiscalmente neutra.
Nel caso esaminato, l’Amministrazione contesta l’Iva passiva portata in detrazione da una Srl che aveva acquistato nel 2008 beni da una seconda Srl al prezzo praticato agli utenti finali, prezzo poi rilevatosi maggiore rispetto a quello contrattualmente previsto, e stornato in seguito tramite successive note di variazione, in ragione del fatto che la cessionaria non è utente finale bensì soggetto affiliato alla cedente.
•Ctr Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, sentenza 514/07/2018