Controlli e liti

Frodi Iva, sulle fatture inesistenti onere della prova per l’Agenzia

immagine non disponibile

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Amministrazione sempre più in prima linea sul contrasto alle frodi Iva. Attraverso una banca dati in cui sono inseriti i nominativi dei soggetti ritenuti emittenti di fatture false è possibile eseguire un’agevole individuazione dei destinatari dei documenti.

Il rischio tuttavia è che tutte le operazioni fatturate da tali soggetti siano ritenute false, a prescindere da una concreta verifica. Non sono infatti rari i casi in cui la cessione o la prestazione sia realmente avvenuta, con la conseguenza che il contribuente che riceve la fattura, ignaro delle frodi commesse dal proprio fornitore, mal comprende la contestazione del fisco. Si tratta di illeciti che hanno spesso carattere transazionale e interessano i settori più diversi: dalle sponsorizzazioni sportive di ogni genere e livello, alla commercializzazione dei prodotti più vari o alle prestazioni di servizi, professionali compresi. In molti casi le contestazioni sono fondate esclusivamente (o quasi) su irregolarità fiscali più o meno gravi commesse dal proprio fornitore (o cliente per le dichiarazioni di intento) dalle quali i verificatori deducono la falsità di ogni documento dagli stessi emesso. Così, ad esempio, se a un determinato soggetto è stata contestata l’emissione di fatture false, quasi automaticamente viene contestato in capo a tutti i suoi clienti l’utilizzo di documenti riferiti a operazioni inesistenti.

Per individuare correttamente la fattispecie, occorre operare un distinguo tra operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti. Ciò in quanto, a seconda dei due illeciti sia ipotizzato, sono totalmente differenti sia l’onere probatorio – gravante sull’amministrazione e sul contribuente – sia le conseguenze sanzionatorie.

Le fatture oggettivamente inesistenti sono riferite a operazioni in tutto o in parte prive di riscontro nella realtà. Si tratta di documenti che attestano un fatto (cessione di beni o prestazione di servizi) mai avvenuto. L’inesistenza può anche essere parziale, nel qual caso si tratta di sovrafatturazione. Sotto il profilo tributario, il costo è indeducibile (con effetti e sanzioni ai fini delle imposte dirette e dell’Irap) e l’Iva è indetraibile poiché si tratta di transazioni fittizie per le quali, secondo le ordinarie regole, manca il requisito della certezza. In tali contestazioni, i verificatori devono fornire elementi probatori, anche in forma indiziaria e presuntiva, che l’operazione non è stata posta in essere e sarà poi il contribuente che dovrà dimostrarne l’effettiva esistenza (tra le ultime Cassazione 21063/2018).

Le fatture soggettivamente inesistenti sono invece riferite a operazioni realmente avvenute, ma tra soggetti differenti rispetto a chi risulta indicato nel documento. In questi casi, il costo è deducibile purché effettivamente sostenuto e inerente l’attività di impresa, mentre l’Iva è detraibile solo se il contribuente dimostra la buona fede, ossia la propria estraneità agli illeciti commessi dal fornitore. Con riguardo all’onere probatorio, l’amministrazione è tenuta a provare che il soggetto emittente la fattura non è chi realmente ha eseguito la prestazione, essendo un interposto e che il contribuente ricevente il documento, sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in un’evasione Iva (Cassazione 21104/ 2018).

Sotto il profilo penale non rileva se si tratti di fatture soggettivamente o oggettivamente inesistenti, poiché la pena resta in ogni caso la reclusione da 18 mesi a sei anni e solo se tali documenti sono indicati e quindi utilizzati nelle dichiarazioni presentate (articolo 2, Dlgs 74/00).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©