Controlli e liti

Il magazzino non suddiviso per categorie omogenee giustifica l’induttivo

di Roberto Bianchi

Nell’ambito delle imposte dirette, è conforme alla legge il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa mediante il metodo induttivo, disciplinato dall’articolo 39, comma 2, lettera d) del Dpr 600/1973, nel caso in cui si ometta di indicare e valorizzare, nell’inventario, le rimanenze mediante raggruppamento per categorie omogenee, in violazione di quanto disposto dal comma 2, articolo 15 del Dpr 600/1973 (Cassazione, sentenza 5995/2017).
A tale conclusione è giunta la sezione VI - 5 della Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza n. 28311/2017 depositata in cancelleria il 27/11/2017.
Con sentenza del febbraio 2016 la Ctr del Lazio accoglieva l’appello proposto da una Srl avverso una sentenza della Ctp di Viterbo che ne aveva respinto il ricorso contro un avviso di accertamento Irap, Ires, Iva afferente l’anno di imposta 2009. La Ctr osservava in particolare che, pur essendo legittimo il ricorso alla metodologia accertativa utilizzata dall’Ente impositore (“induttivo puro” ex articolo 39, comma 2, lettera d) del Dpr 600/1973), in quanto la contabilità della società verificata risultava “affetta” da anomalie tali da renderla inattendibile, la ripresa fiscale doveva considerarsi infondata nel merito in quanto, sulla base dei dati riportati nello stesso atto impositivo impugnato, i ricavi accertati risultavano inferiori a quelli dichiarati.
Avverso la decisione di secondo grado l’agenzia delle Entrate proponeva ricorso per Cassazione al quale la società resisteva mediante controricorso.
Con specifico motivo - ex articolo 360, Codice di procedura civile, comma 1, n. 3 - la ricorrente denunciava la violazione del comma 2, lettera d) dell’articolo 39 del Dpr 600/1973 e del comma 2 dell’articolo 55 del Dpr 633/1972 in quanto la Ctr ha sottovalutato l’informazione, contestata alla società contribuente, della valutazione eccessiva delle rimanenze finali afferenti l’annualità fiscale oggetto di contestazione.
In sostanza, la confutazione viene fondata su una presunzione “semplicissima”, prevista dall’ordinamento tributario per gli accertamenti di tipo induttivo “puro”, in quando si è in presenza di una grave irregolarità. In tale caso, infatti, gli accertamenti possono essere eseguiti sulla scorta di presunzioni semplici, senza che sussistano anche i caratteri di gravità, precisione e concordanza.
A parere del collegio di legittimità la richiesta di censura presentata dall’amministrazione finanziaria risulta essere fondata in quanto, in ambito Iva, l’accertamento induttivo avente a oggetto la ricostruzione delle rimanenze iniziali e finali può essere effettuato o sulla base dei dati della contabilità aziendale, che costituiscono prova a carico del contribuente e di cui deve presumersi l’esattezza, o attraverso la ricerca di elementi che contraddicano in modo inoppugnabile i dati forniti dal contribuente” (Cassazione, sezione V, sentenza 15615/2016), mentre ai fini dell’accertamento del reddito d’impresa, pur in presenza di contabilità regolare, ma sostanzialmente priva di garanzia di affidabilità e congruità sostanziali, l’Ufficio può utilizzare qualsiasi elemento probatorio e fare ricorso al metodo induttivo, avvalendosi anche di presunzioni cosiddette “semplicissime” di cui al comma 2, articolo 39 del Dpr 600/1973, le quali determinano un’inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del contribuente la deduzione di elementi contrari intesi a dimostrare che il reddito non è stato prodotto o è stato prodotto in misura inferiore a quella indicata dall’ufficio (Cassazione, sezione V, sentenza 15027/2014). Nel dettaglio, nell’ambito delle imposte dirette, è pertanto legittimo il ricorso all’accertamento del reddito d’impresa con metodo induttivo ex articolo 39, comma 2, lettera d) del Dpr 600/1973, qualora l’inventario ometta di indicare e valorizzare le rimanenze con raggruppamento per categorie omogenee, così violando la prescrizione del comma 2 dell’articolo 15 del Dpr 600/1973 (Cassazione, sezione V, sentenza 5995/2017).
Per la Corte Suprema, pertanto, la sentenza impugnata contrasta i principi di diritto espressi nei menzionati arresti giurisprudenziali, in particolare non considerando adeguatamente l’irregolarità contabile consistente nella violazione del comma 2, articolo 15 del Dpr 600/1973, pacificamente sussistente e contestata nel caso di specie, come pure, in osservanza del principio di autosufficienza del ricorso, evidenziato dal ricorrente.

Cassazione, VI sezione civile, ordinanza 28311 del 27 novembre 2017

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