Controlli e liti

Il regime del margine a prova di buona fede

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di Antonio Iorio

Per l’applicazione del regime del margine il cessionario deve dimostrare che non poteva sapere di partecipare ad un’ evasione fiscale : occorre, infatti, provare la buona fede e di aver adottato ogni ragionevole controllo in tal senso. A fornire questo rigoroso principio sono le Sezioni unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 21105 depositata ieri.

L’agenzia delle Entrate contestava ad una società operante nella rivendita di veicoli usati, il mancato assolvimento dell’ Iva su una pluralità di acquisti che erano stati assoggettati allo speciale regime del margine. Secondo l’Ufficio, poiché il cedente dei beni era una impresa estera comunitaria, esercente attività di autonoleggio e di leasing, doveva fatturare con Iva.

I provvedimenti venivano annullati dai giudici di merito.

In particolare la Ctr riteneva corretto l’applicazione del regime del margine da parte della società italiana non potendo conoscere il trattamento adottato dalla venditrice comunitaria di tali beni. Non esiste, infatti, nell’ordinamento alcun obbligo “investigativo” in tal senso. L’agenzia delle Entrate ricorreva in cassazione lamentando, in estrema sintesi, un’errata applicazione della norma. La decisione era rimessa alle Sezioni iunite in quanto ritenuta di particolare importanza attesa l’ampiezza del contenzioso.

L’alto consesso ha innanzitutto ricordato che il regime del margine è applicabile allorchè il bene sia acquistato da un soggetto che non ha potuto detrarre l’Iva pagata a monte e pertanto ha sopportato integralmente l’imposta stessa. Secondo la Corte di Giustizia (c-624/15) i singoli non possono avvalersi delle norme del diritto Ue quando nell’ambito di un’evasione o di un abuso, il soggetto passivo sapeva o avrebbe potuto sapere di partecipare ad una frode.

A tal fine, è legittimo pretendere che l’operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure (che gli si possono ragionevolmente chiedere) per assicurarsi che l’operazione non comporti una propria partecipazione all’evasione. Solo dopo tali verifiche, come non può essere negato il diritto alla detrazione o all’esenzione, al pari, non può essere negata l’applicazione del regime del margine. Nel nostro ordinamento, se l’amministrazione ritiene sussistente un’indebita fruizione del regime in questione, deve contestare l’assenza di presupposti adducendo elementi non generici, ma specifici e concreti, anche eventualmente presuntivi. Dinanzi a tale quadro indiziario, il contribuente deve fornire la relativa prova contraria ed in particolare l’esistenza delle condizioni soggettive e la propria buona fede, intesa come assenza di consapevolezza alla partecipazione dell’evasione Iva nonchè di aver adottato la necessaria diligenza per assicurarsi di ciò. Spetta poi al giudice di merito valutare se la condotta del contribuente-cessionario risponda, nel complesso, alla citata diligenza ragionevolmente esigibile.

In caso positivo, va riconosciuto il diritto anche ove emergesse, grazie ai poteri ispettivi dell’amministrazione finanziaria, l’assenza dei presupposti in capo al cedente.

Nella specie il contribuente italiano, secondo le Sezioni unite, avrebbe dovuto quanto meno individuare dai dati risultanti dalla carta di circolazione del veicolo i precedenti intestatari ai fini dell’eventuale obbligo di assolvimento dell’Iva a monte. Secondo i giudici, pertanto, nelle operazioni in cui è stato applicato lo speciale regime del margine, il cessionario al quale l’amministrazione ne contesti la fruizione, deve provare la propria buona fede e cioè di aver agito senza la consapevolezza di partecipare ad un’evasione e di aver adottato la diligenza massima esigibile ad un operatore accorto.

Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 21105 del 12 settembre 2017

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