Contabilità

Il «sale and lease back» è lecito

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di Bernardo Bruno

Il contratto di sale and lease back non viola il divieto di patto commissorio . Lo ha stabilito la Cassazione, con la sentenza 16646, depositata il 6 luglio. Una pronuncia che affronta una delle principali criticità giuridiche di questo contratto, diffusosi con la crisi perché consiste nella vendita di un cespite (solitamente immobiliare) ad una società finanziaria, che ne paga il prezzo per poi concederlo in locazione alla stessa venditrice. Uno schema che incentiva l’apporto di liquidità e l’ottimizzazione dei costi tributari, a fronte della cessione in garanzia di beni annessi al patrimonio aziendale.

La venditrice diventa utilizzatrice del bene alienato (di cui paga il canone di locazione) e ha facoltà di riscattarne la proprietà a fine contratto. La struttura tipica dell’accordo, apparentemente priva di particolari criticità, impone una disamina puntuale dei profili di rischio, principalmente correlati proprio alla violazione del divieto di patto commissorio.

L’articolo 2744 del Codice civile sancisce, infatti, la nullità del patto che preveda il passaggio al creditore della cosa offerta in garanzia in mancanza di pagamento entro il termine fissato. In un contesto giurisprudenziale fortemente disomogeneo, la sentenza del 6 luglio pone criteri orientativi univoci, che favoriscono la corretta attuazione dell’istituto e chiariscono gli eventuali profili di nullità del negozio in esame.

La Cassazione evidenzia, in primis, come il contratto di sale and lease back assolva ad una finalità di leasing e non di garanzia, ove la cessione del bene costituisce il presupposto necessario a dare corso alla locazione finanziaria. Perseguendo lo scopo di assicurare la liquidità immediata e il contestuale utilizzo del bene ceduto, goduto senza soluzione di continuità dall’impresa cedente, l’operazione finanziaria non integra tout court la violazione del patto commissorio, che è invece «diretto ad impedire al creditore l’esercizio di una coazione morale sul debitore spinto alla ricerca di un mutuo (o alla richiesta di una dilazione nel caso di patto commissorio ab intervallo) da ristrettezze finanziarie» e trova precipua violazione «ogniqualvolta lo scopo di garanzia costituisca non già mero motivo del contratto, ma assurga a causa concreta della vendita con patto di riscatto o di retrovendita».

La ratio del contratto si esprime nell’esigenza finanziaria e propulsiva del debitore alienante. Questa è evidentemente tradita da un’operazione in cui la vendita del bene è strumentale al solo rafforzamento della posizione del creditore, «che in tal modo tenta di acquisire l’eccedenza del valore, abusando della debolezza del debitore». L’assenza di una previsione contrattuale che assegni al venditore la facoltà di recuperare l’eccedenza del valore del bene in caso di inadempimento, rende lo scopo della garanzia funzionalmente incompatibile con la natura della compravendita.

I criteri offerti dalla Cassazione consentono di rilevare, definitivamente, la natura fraudolenta del contratto di sale and lease back nei casi in cui ricorra:

la presenza (preesistente o contestuale) di una situazione di credito e debito tra la società finanziaria e l’impresa venditrice utilizzatrice;

una situazione di difficoltà economica del venditore legittimante il sospetto di relativo approfittamento.

L’accordo sarà quindi lecito se volto ad assecondare ragioni di liquidità finanziaria, che recepiscono la complessiva esigenza di propulsione dell’attività di impresa.

Sarà, al contrario, nullo (stante l’illiceità della causa negoziale), qualora emerga una preponderante funzione di garanzia con cui le parti, in pendenza di una soggezione del debitore, hanno inteso privilegiare le ragioni della società di leasing, assegnandole un vantaggio sproporzionato, pari al maggior valore del bene acquisito in proprietà.

La sentenza 16646/2017 della Cassazione

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