Il sì al sequestro impeditivo lascia il dubbio sulla confisca
Con la recente sentenza n. 34293, depositata il 20 luglio dalla Seconda sezione penale, la Cassazione per la prima volta prende posizione sull’applicabilità del sequestro “impeditivo” anche alle società. La Corte lo ritiene possibile (si veda Il Sole 24 Ore del 21 luglio. Ma senza chiarire la sorte delle cose pertinenti al reato diverse dal profitto o dal prezzo ed oggetto di sequestro nei confronti dell’ente (per esempio, il prodotto).
La questione del sequestro impeditivo, da tempo emersa in dottrina, consiste nell’utilizzare lo strumento previsto dall’articolo 321, comma 1, del Codice di procedura penale nell’ambito del sistema di responsabilità da reato degli enti previsto dal Dlgs 231/2001. A rigore, le cose pertinenti al reato non potrebbero essere confiscate in quanto non contemplate dall’articolo 19 del Dlgs 231/2001. Ma la sentenza 34293 non consente di trovare una conferma, perché affronta principalmente la compatibilità delsequestro impeditivo con Dlgs.
La vicenda decisa dalla Corte riguarda una società accusata di truffa sugli incentivi pubblici al fotovoltaico (si veda la scheda a destra). Il Tribunale ha respinto l’istanza di dissequestro degli impianti, con ordinanza impugnata in Cassazione dalla società. La difesa sosteneva, tra l’altro, l’inapplicabilità del sequestro “impeditivo” ai sensi del Dlgs 231/2001, il cui articolo 53 ha per oggetto solo le cose di cui è consentita la confisca a norma dell’articolo 19 (ossia il prezzo e il profitto del reato, anche per equivalente) e richiama l’articolo 321 del codice di rito limitatamente ai commi 3, 3-bis e 3-ter, omettendo ogni riferimento al sequestro impeditivo. Per la difesa, tale esclusione si spiegherebbe pure sul piano sistematico, con l’esigenza di prevenire una indebita sovrapposizione tra il sequestro impeditivo e la misura cautelare dell’interdizione dell’attività (articolo 9, comma 2, lettera a e articolo 45 del Dlgs 231).
La Cassazione respinge questa tesi.
Preliminarmente, la Corte ricorda che l’apparato di misure cautelari del Dlgs si fonda, da un lato, sull’applicazione anticipata delle sanzioni interdittive (articoli 45 e 9, comma 2), dall’altro, sui sequestri preventivo (articolo 53) e conservativo (articolo 54).
La Cassazione riconosce che il sequestro preventivo all’evidenza non coincide con quello dell’articolo 321 del codice di rito, in particolare nella parte in cui non contempla il tipo “impeditivo”. Il dettato normativo è coerente con la relazione ministeriale al Dlgs 231, dove si giustifica la mancata previsione del sequestro impeditivo in quanto la funzione cautelare assolta dalla misura (impedire che «la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati») avrebbe determinato una incompatibilità con le sanzioni interdittive irrogabili in via cautelare alla persona giuridica, con la medesima finalità.
Ma la Corte si discosta apertamente dalla relazione, escludendo che il campo di applicazione del sequestro impeditivo coincida con quello delle misure interdittive, ancorché vi siano situazioni ove gli effetti sembrano gli stessi (l’interruzione dell’attività, nel determinare la paralisi dell’ente, può apparire equivalente al sequestro preventivo delle cose pertinenti al reato). Anzitutto, per la tendenziale temporaneità della misura interdittiva, mentre invece il sequestro impeditivo assume più facilmente connotati definitivi con la confisca a fine processo. Inoltre, la misura interdittiva, essendo rivolta alla societas, “paralizza” l’uso del bene “criminogeno” solo in via mediata; al contrario il sequestro colpisce il bene direttamente, eliminando in radice il pericolo che lo si possa destinare a commettere altri reati. D’altro canto, l’interdizione dell’attività di per sé non esclude che l’ente possa continuare a disporre dei singoli beni, per esempio destinandoli ad altri rami dell’attività non colpiti dall’interdittiva o cedendoli a terzi che continuino ad utilizzarli.
Individuato l’autonomo raggio d’azione del sequestro impeditivo, la Cassazione ne argomenta l’ingresso nell’orbita del Dlgs 231. A livello sistematico, la misura sarebbe ammessa in quanto istituto di carattere generale previsto dal codice di procedura penale che non incontra ostacoli di natura logico-giuridica stante l’assenza dei rischi di sovrapposizione paventati dalla relazione ministeriale. Sul piano letterale, inoltre, l’adozione del sequestro preventivo impeditivo agli enti è pienamente consentita dall’amplissimo dettato letterale dell’articolo 34 del Dlgs, secondo cui, per il procedimento sugli illeciti da reato, si osservano, in quanto compatibili, le norme del codice di procedura penale.
Occorre attendere le prossime sentenza per apprezzare la portata applicativa dell’orientamento inaugurato dalla Corte. Sembra utile osservare che, come pure riconosciuto dalla sentenza in esame sulla scia della dottrina, le esigenze cautelari possono nella pratica (continuare a) essere perseguite senza ricorrere al sistema 231, ossia col sequestro impeditivo alla persona fisica indagata o imputata che abbia la libera disponibilità del bene di proprietà dell’ente.
Cassazione, sentenza 34293/2018