Imposta di registro fissa per gli apporti di immobili ai fondi
La tassazione con l’imposta di registro in misura fissa dell’apporto di beni immobili a un fondo immobiliare non è un’agevolazione, ma è il regime fiscale ordinario di questa tipologia di negozi. Pertanto, la normativa in materia non è compresa nel perimetro applicativo dell’articolo 10 del Dlgs 23/2011, che ha soppresso «tutte le esenzioni e le agevolazioni tributarie» relativi agli atti traslativi di beni immobili vigenti alla data del 1° gennaio 2014. Lo ha deciso la Ctp di Roma (sezione 28), nella sentenza n. 1699 del 18 gennaio 2018, priva di precedenti.
L’apporto a un fondo immobiliare è l’atto con cui il soggetto apportante attribuisce al fondo la proprietà di un immobile ricevendo in cambio una o più quote di partecipazione al fondo. L’imposta di registro sui conferimenti di immobili in fondi immobiliari è regolata dal Dl 351/2001 (convertito nella legge 410/2001).
L’articolo 9, comma 1, del Dl 351/2001 dispone che ai fondi immobiliari si applica l’articolo 7 della Tabella degli atti esenti da registrazione, allegata al testo unico dell’imposta di registro (il Dpr 131/1986). L’articolo 7 dispone l’esonero da registro per gli «atti relativi alla istituzione di fondi comuni di investimento mobiliare» e «alla sottoscrizione … delle quote».
Dalla combinazione di queste norme deriva che gli atti di apporto di immobili a favore di fondi immobiliari (di per sé esenti da registrazione), trattandosi di atti necessariamente stipulati nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata (in ragione della pubblicità immobiliare che deve essere effettuata), sono soggetti a imposta di registro in “termine fisso” e in misura fissa (di 200 euro):
se l’apportante non è un soggetto Iva (oppure è un soggetto Iva, ma l’apporto è fuori campo Iva: ad esempio, si tratta di un terreno non edificabile), ai sensi dell’articolo 11, Tariffa Parte I allegata al Dpr 131/1986;
se l’apportante è un soggetto Iva, e l’apporto è un’operazione imponibile a Iva o esente da Iva, ai sensi dell’articolo 40, comma 1, Dpr 131/1986, e dell’articolo 11.
Se, dunque, si ritenesse abrogato tutto questo costrutto normativo, se ne avrebbe che l’apporto del terreno non edificabile andrebbe tassato con l’imposta di registro al 15% e, soprattutto, che l’apporto di abitazioni da parte di un soggetto Iva, non costruite o ristrutturate dall’apportante (oppure costruite o ristrutturate da più di cinque anni), andrebbe tassato con l’aliquota del 9 per cento; avendo, in entrambi i casi, come base imponibile, il valore venale del bene apportato. Insomma, numeri tali da far letteralmente “saltare” il conto economico di una operazione di questo tipo.
Ora, è vero che la circolare n. 2/E del 21 febbraio 2014 (paragrafo 9.6) non affronta esplicitamente la questione in esame, limitandosi a dichiarare la non abrogazione del trattamento fiscale di favore per l’apporto a fondo immobiliare di una «pluralità di immobili prevalentemente locati al momento dell’apporto» nonché del trattamento di favore per le imposte ipotecaria e catastale (dovute in misura ridotta alla metà) nel caso di apporto a fondo di immobili strumentali (su questi argomenti si veda l’articolo qui a fianco).
Ma è anche vero che può, con tutta fondatezza, ritenersi che il silenzio di detta circolare n. 2/E non tanto valga quale conferma di una intervenuta abrogazione, quanto possa essere invece inteso come uno dei casi in cui i giuristi spiegano affidandosi all’espressione latina minus dixit quam voluit (e cioè che è stato detto meno di quanto voluto): infatti, l’articolo 7 della Tabella allegata al Dpr 131, non reca tecnicamente un’agevolazione, ma (come si sostiene nella sentenza della Ctp di Roma) dispone uno specifico e peculiare regime fiscale per l’operatività dei fondi comuni, mobiliari e immobiliari. Ne discende che esso è perciò da ritenere insensibile alla ventata abrogativa che l’articolo 10 del Dlgs 23/2011 ha riservato alle agevolazioni vigenti a inizio 2014 relativamente ai trasferimenti immobiliari a titolo oneroso.
Ctp Roma, sentenza 1699/28/2018