Iri, credito d’imposta al socio per gli utili distribuiti a fine regime
Per la nuova Iri, in arrivo la soluzione del rebus sulla tassazione degli utili che verranno distribuiti al termine del regime. I soci, chiarisce il decreto sulla manovrina, sconteranno l’Irpef piena sulle somme percepite, ma verrà loro riconosciuto un credito di imposta pari all’Iri a suo tempo corrisposta dalla società su tali utili.
Il decreto manovrina interviene sull’articolo 55-bis del Tuir che regola, colmando una palese lacuna legislativa del testo originario, la sorte delle riserve di utili tassati con imposta proporzionale del 24%, che vengono distribuiti dopo la cessazione dell’opzione. L’articolo 55-bis, che ha fatto il suo ingresso nel testo unico con la legge di bilancio 2017, disciplina la cosiddetta tassa piatta opzionale, per i redditi delle imprese Irpef in contabilità ordinaria che vengono trattenuti in azienda. La tassazione di chi opterà per la nuova Iri (regime che ha durata di cinque esercizi, rinnovabile) avverrà calcolando il reddito sulla base delle regole ordinarie previste per le società di persone e sottraendo i prelievi effettuati dai soci a valere sull’utile dell’esercizio o sulle riserve di utili, entro il limite della sommatoria del reddito dell’anno e degli imponibili di esercizi precedenti e al netto delle perdite riportabili a nuovo. L’imponibile così determinato sconterà l’Iri nella stessa misura dell’Ires (24%), mentre i prelievi costituiranno, per i soci, reddito da assoggettare ad Irpef progressiva e addizionali.
Il meccanismo dell’Iri, apparentemente molto semplice, evidenzia all’atto pratico alcune criticità applicative, a seguito anche di un testo normativo carente.
Uno dei punti più oscuri è costituito dalla sorte degli utili che l’impresa o la società di persone ha conseguito nel corso del regime, e che sono stati tassati con l’aliquota del 24%, che vengono prelevati dal titolare o dai soci dopo la scadenza dell’opzione.
Si tratta, è bene evidenziarlo, di un problema che si porrà non prima del 2022 (cioè al termine del primo quinquennio obbligatorio di Iri per chi opta a partire dal 2017), ma è necessario che le regole siano chiare sin dall’inizio per consentire ai contribuenti di effettuare la scelta (che si farà a consuntivo e dunque nella dichiarazione dei redditi del 2018) avendo presente tutte le regole applicabili.
Questa lacuna normativa viene opportunamente colmata dal Dl sulla manovrina. La norma introduce infatti un nuovo comma nell’articolo 55-bis in base al quale le somme che saranno prelevate dai soci della Snc o della Sas a carico di riserve di utili formate in vigenza dell’opzione per l’Iri, nei limiti dell’importo di esse che ha scontato l’imposta proporzionale del 24%, concorrono integralmente a formare il reddito del percettore, al quale d’altro canto verrà attribuito un credito di imposta pari all’Iri scontata dalla società su tali utili. La norma non chiarisce se il credito di imposta riconosciuto al socio si calcolerà semplicemente in base al 24% della somma percepita o se, come avveniva in passato (ante 2004) per i dividendi di società di capitali, verrà accreditata al socio l’intera imposta che ha gravato sul reddito di impresa (lordo).
Ad esempio, si ipotizzi che, al termine del quinquennio di Iri, vi siano utili del periodo non distribuiti pari a 1.000, che hanno scontato Iri per 240, e hanno consentito l’iscrizione di una riserva distribuibile pari a 760. La distribuzione ai soci, post regime, di 760, importo che si aggiunge al reddito complessivo del percettore (scontando Irpef progressiva), può consentire, stando al tenore della legge, la rilevazione di un tax credit pari, alternativamente, a 240 (Iri a cui è stato assoggettato il reddito lordo che ha poi generato l’utile netto distribuito) oppure a 182,40 (dato da 760 x 24%). La prima soluzione è certamente quella più corretta, in quanto è in grado di ripristinare la situazione che si sarebbe creata se la società di persone avesse prodotto il reddito distribuiti, al di fuori dal regime Iri e dunque in periodo di tassazione per trasparenza. Ma, come detto, il testo normativo non consente di considerare con certezza che questo sia il meccanismo applicabile.
Sarebbe dunque opportuno che il testo definitivo precisi bene questo aspetto onde evitare che alla soluzione di un dubbio faccia seguito un nuovo dubbio da chiarire.