L’accordo transattivo non fa recuperare l’Iva
Ancora una volta la neutralità dell’Iva sembra compromessa dai formalismi. Con la risposta n. 178 di ieri, le Entrate negano al fornitore insoddisfatto di recuperare, se non il corrispettivo, almeno l’Iva versata e non ricevuta dal cliente. L’ostacolo è la conclusione di un accordo transattivo non tempestivo e la mancata insinuazione del cedente al passivo fallimentare del cessionario. Il quesito all’Agenzia riguarda un caso in cui, in seguito al mancato pagamento del corrispettivo di vendita con riserva della proprietà, le parti Beta (cedente) ed Alfa (cessionario, società poi fallita), concludono una transazione, in virtù della quale Alfa si impegna a restituire a Beta le auto non pagate. Secondo le Entrate, l’accordo, sebbene evento che comporta il venir meno dell’operazione originaria di vendita degli autoveicoli che giustificherebbe la variazione in diminuzione dell’Iva ex articolo 26, comma 2, del Dpr 633/1972, in sostanza non la permette. Trattandosi di accordo sopravvenuto sottoscritto oltre l’anno dalla vendita originaria, mancherebbe del presupposto temporale che legittima la nota di variazione Iva.
Inoltre, avendo rinunciato alla domanda di ammissione al passivo del fallimento della società cliente, il recupero dell’Iva con la variazione in diminuzione da parte del cedente non potrebbe essere legittimato dal «mancato pagamento… a causa di procedure concorsuali», non avendo quest’ultimo alcun titolo.
Insomma, non sembra esserci spazio per interpretazioni meno vincolate ai formalismi e più protese verso la garanzia della neutralità dell’imposta, la quale esige che il calcolo dell’Iva, e il versamento, avvenga in riferimento al corrispettivo percepito. L’orientamento dei giudici Ue, per i quali la riduzione dell’Iva dovrebbe essere concessa sulla base della sola esistenza di una probabilità che il debito non sia saldato (sentenza Di Maura) lascia spazio a qualche interrogativo.
Agenzia delle Entrate, interpello 178/2019