L’esclusione si prova anche con riscontri estranei ai bilanci
Per provare la sussistenza dei requisiti di non fallibilità vanno ammessi anche strumenti probatori alternativi al deposito dei bilanci. Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Corte di cassazione (sentenza n. 10509 del 15 aprile scorso) secondo le quali «se pure il bilancio d’esercizio può dirsi canale privilegiato … tuttavia, la verifica della sussistenza dei requisiti di non fallibilità è un campo d’indagine particolarmente aperto e disponibile, nel quale il termine naturale di riferimento sono le scritture contabili dell’impresa, in cui leggere e da cui poter ricavare la presenza o meno dei requisiti dimensionali, con la piena utilizzabilità» , dunque, «dell’intero corredo contabile della stessa impresa e secondo l’ampia nozione di scritture contabili che risulta assunta dal sistema vigente».
Il tema è quello della prova dei requisiti dimensionali che esentano dal fallimento. L’articolo 1 della legge fallimentare rimette sul debitore l’onere di provare la sussistenza di tali requisiti, che consistono:
nel non aver superato, nei tre esercizi antecedenti al deposito dell’istanza di fallimento, un certo attivo patrimoniale;
nel non aver realizzato, nel medesimo periodo, ricavi lordi per un certo altro ammontare;
nell’avere debiti, anche non scaduti, non oltre i 500mila euro.
Ciascuno di questi elementi dovrebbe trovare riscontro nei bilanci dell’impresa; ed è dunque naturale che siano i bilanci, normalmente, il canale attraverso il quale il debitore cerchi di assolvere al proprio onere. Così come è naturale che la giurisprudenza concentri sui bilanci la propria attenzione. Si tratta di due facce della stessa medaglia.
L’articolo 1, per la verità, non dice che la prova della sussistenza dei requisiti debba essere fornita necessariamente attraverso i bilanci. Anzi, non specifica affatto come la prova debba essere fornita. Che la prova debba essere fornita attraverso i bilanci appartiene semplicemente all’ordine naturale delle cose ed è un principio che la giurisprudenza ha sempre dato per scontato.
Ora, il principio affermato dalle Sezioni unite incrina questo ordine naturale, affermando che la produzione dei bilanci non va considerata imprescindibile ai fini della prova: imprescindibile e “centrale”, secondo la Cassazione, è solo «la valutazione dell’attendibilità, ex articolo 116, del materiale disponibile, cioè, del grado di fedeltà del dato ivi rappresentato con l’effettiva realtà dell’impresa che viene considerata».
Già nel 2013 la Cassazione aveva fatto riferimento alla possibilità di dedurre la sussistenza dei requisiti dal libro giornale e dalla denuncia dei redditi, ma è la prima volta che la deroga all’imprescindibilità dei bilanci come fonte di prova della sussistenza dei requisiti di non fallibilità viene affermata in modo tanto chiaro e generale. Ed è un precedente al quale si potrà continuare a fare riferimento anche in futuro, quando sarà entrato in vigore il nuovo Codice della crisi, perché sotto questo profilo la riforma non prevede novità, nel senso che prevede l’esclusione dalla liquidazione giudiziale in presenza di certi requisiti dimensionali, che sono gli stessi in presenza dei quali la legge fallimentare attuale prevede la non fallibilità.
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