L’inerenza «blinda» le operazioni sottocosto
Le contestazioni dell’amministrazione finanziaria sulla base della (presunta) antieconomicità di talune operazioni aziendali sono arrivate, in taluni casi, a riguardare le cosiddette operazioni sottocosto, poste in essere nel settore del commercio al dettaglio e soprattutto nel settore della grande distribuzione. Vediamo sia in questo articolo sia in quello in basso quali sono le motivazioni che si possono addurre in difesa delle scelte economiche delle imprese, sia in materia di imposte sui redditi sia per quanto riguarda la detrazione dell’Iva, richiamando anche le principali risoluzioni e sentenze che possono essere utile in sede di contraddittorio o di contenzioso.
L’operazione
È evidente che l’aspetto essenziale dell’operazione, ossia la vendita di un prodotto ad un prezzo inferiore a quello di acquisto, non può che generare una perdita per l’impresa, ma è altrettanto ovvio che le operazioni sono animate da scopi ben diversi dalla profittabilità immediata: attrazione di nuova clientela, fidelizzazione della clientela già esistente, promozione di particolari marche, prodotti o iniziative.
Peraltro, ci stiamo riferendo ad iniziative talmente note al legislatore da meritare una normativa specifica (Dlgs 114/1998 e Dpr 218/2001) quanto a modalità, ripetibilità, tipologie di merci e informazioni alla clientela. Si tratta quindi di vendite straordinarie, consentite (con evidenti scopi promozionali) dalla nostra legislazione, e quindi in quanto tali perfettamente utilizzabili dagli operatori del settore.
Il fatto che la vendita avvenga a corrispettivi ridotti è fisiologico dell’operazione: questo elemento di per sé non può motivare alcun tipo di contestazione, né giuridica in generale né tributaria in particolare. A questo proposito, ancor prima di richiamare la giurisprudenza che vedremo in seguito, è il caso di ricordare un precedente in cui la Cassazione (sentenza 19408/2015) si è espressa su un caso del tutto analogo (acquisto di beni a prezzo maggiore di quello di vendita, nella fattispecie autoveicoli usati da parte di impresa concessionaria), concludendo che l’operazione complessivamente intesa è positivamente validabile in quanto finalizzata ad incentivare le vendite (nel caso specifico, di veicoli nuovi).
In generale si può affermare che le operazioni sottocosto rientrano nella sfera delle scelte (insindacabili) dell’impresa e che la valutazione della loro economicità non può che essere legata a considerazioni che vanno ben oltre le caratteristiche delle operazioni stesse. Si tratta di applicare ai costi di queste operazioni la nozione di inerenza prospettica, ovvero di valutazione della loro economicità in funzione dei benefici futuri che da esse (anche solo potenzialmente) derivano.
L’inerenza prospettica
L’inerenza va intesa come correlazione fra onere sostenuto e attività produttiva di reddito imponibile, con la conseguenza che, come storicamente affermato nelle note ministeriali 9/2113/1980, 30/9/944/1983, 9/1603/1985 e 158/E/1998, il concetto di inerenza non è legato ai ricavi dell’impresa, ma all’attività della stessa; pertanto, si rendono deducibili tutti i costi relativi all’attività dell’impresa e riferiti ad attività ed operazioni che concorrono a formare il reddito d’impresa.
Sulla valutazione prospettica dell’inerenza dei costi sono emblematiche anche interpretazioni ufficiali ormai consolidate:
•«il concetto medesimo non è più legato ai ricavi d’impresa, ma all’attività della stessa, con la conseguenza che si rendono deducibili tutti i costi relativi all’attività dell’impresa e riferentisi ad attività e operazioni che concorrono a formare il relativo reddito» (risoluzione 28 ottobre 1998 n. 158/E);
•«si rendono deducibili anche i costi e oneri sostenuti in proiezione futura, come le spese promozionali e comunque quelle dalle quali possono derivare ricavi in successione di tempo» (risoluzione 12 febbraio 1985 n. 9/1603).