La Cassazione boccia la rettifica con la media aritmetica semplice
Fisco bocciato in matematica, perché non applica correttamente il ricarico medio ponderato. Devono essere perciò annullati gli accertamenti dell’ufficio che, nel determinare i maggiori ricavi delle imprese, applica la media aritmetica semplice, anziché la media ponderata. La Cassazione ha così accolto due ricorsi del contribuente, con condanna dell’ufficio alle spese del giudizio liquidate in 10mila euro, più il 15% di spese forfetarie e accessori di legge ( ordinanza 16119/17 e 16120/17, udienze del 16 maggio 2017, depositate il 28 giugno 2017). La vicenda ha interessato un commerciante siciliano, nei cui confronti l’ufficio di Sant’Agata di Militello, in provincia di Messina, aveva emesso due accertamenti per presunti maggiori ricavi e redditi conseguiti negli anni 1998 e 1999, con richieste di imposte, sanzioni ed interessi per oltre 500milioni delle vecchie lire, cioè più di 250mila euro. In primo grado, la Commissione tributaria provinciale dava ragione all’ufficio. In secondo grado, la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Messina accoglieva gli appelli del contribuente, con ampie ed articolate motivazioni.
La media semplice non «passa» l’esame
Per i giudici di secondo grado, sono sbagliati gli accertamenti dell’ufficio, che, pertanto, devono essere annullati. Per i giudici di secondo grado, è «dirimente la circostanza che nella determinazione della percentuale di ricarico, utilizzata per ricostruire presuntivamente il maggior reddito, non si era tenuto conto dell’oscillazione dei prezzi conseguente all’applicazione ai clienti di sconti generalizzati e variabili alla cassa e che il criterio di calcolo utilizzato non era stato quello della media ponderata, ma quello della semplice media dei valori di incidenza dei beni considerati rapportati al costo del venduto». È perciò illegittimo ed infondato l’accertamento basato sulla media semplice, considerato anche che non ricorrevano «le presunzioni plurime, gravi, precise e concordanti, legittimanti il ricorso, da parte dell’ufficio erariale, ad un accertamento analitico – induttivo». Per la Cassazione, è infatti illegittimo il ricorso alla media semplice, anziché alla media ponderata, quando tra i vari tipi di merci esiste una notevole differenza di valore ed i tipi più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio (Cassazione, n. 13319 del 2011; n. 4312 del 2015).
Come si determina il ricarico medio ponderato
Al riguardo, è sempre attuale la circolare del ministero delle Finanze 289/E del 7 novembre 1997, nella quale, oltre ad illustrare come si determina il ricarico medio ponderato (Rmp), si avverte che è illegittimo il ricarico che non «si fonda su una percentuale media ponderata». Per dimostrare l’errore che si commette applicando la media aritmetica semplice e non quella ponderata, basta fare il seguente esempio riferito a un commerciante che ha comprato 1.000 sedie a 10 euro l’una e 10 poltrone a 100 euro l’una, spendendo complessivamente 11mila euro. Sedie e poltrone sono state vendute, incassando 11mila euro per le mille sedie e 1.500 euro per le poltrone, ricavando complessivamente 12.500 euro; è stato cioè applicato il ricarico del 10% per le sedie e del 50% per le poltrone. Secondo alcuni uffici, il ricarico medio è del 30%, dato dalla somma del 10 più il 50, diviso due; è sbagliato, perché questo ricarico non è “ponderato”; secondo la giusta media ponderata, il ricarico è del 13,636 per cento e non del 30 per cento. Infatti, 12.500 euro diviso il costo del venduto di 11mila euro, è uguale a 1,13636, cioè al ricarico giusto del 13,636%. Applicando il ricarico del 13,636% al costo del venduto di 11mila euro, si ottiene infatti l’importo di 12.500 euro. Dispiace constatare che davanti all’errore di confondere la media aritmetica semplice con la media ponderata, alcuni uffici non annullino subito gli atti sbagliati in autotutela, anche per evitare inutili contenziosi senza alcun beneficio per le casse dello Stato. L’esempio è nelle predette sentenze di Cassazione, con l’ufficio che, dopo quasi 15 anni di liti inutili, non ha incassato nulla, subendo anche la condanna al pagamento delle spese di giudizio.