La contestazione sui costi obbliga a dimostrare l’inerenza
La società che intenda dedurre dal reddito imponibile spese ritenute inerenti all’attività di impresa ne deve fornire la prova, qualora l’imputazione a conto economico sia contestata dall’amministrazione finanziaria. Ciò in quanto l’articolo 109, comma 5, del Tuir (peraltro già esistente nell’articolo 74 del previgente Dpr 597/1973, richiamato dall’articolo 5 del Dpr 598/73) sancisce inequivocabilmente che la deduzione di spese spetta «se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi». In difetto di tale prova è legittima la negazione della deducibilità in quanto «non è sufficiente che la spesa sia stata contabilizzata dall’imprenditore, occorrendo anche che esista una documentazione di supporto da cui ricavare, oltre che l’importo, la ragione e la coerenza economica della stessa, risultando legittima, in difetto, la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa». Ad affermarlo è la sentenza 9466/2017 della Cassazione nel respingere il ricorso della società contribuente contro la pronuncia d’appello, mentre i giudici di primo grado avevano diversamente deciso.
La questione riguardava un avviso di accertamento per Ires, Irap e Iva del 2007 che si riferiva al disconoscimento di costi sostenuti dalla società accertata – distributrice di farmaci - relativi a consulenze, sperimentazioni chimiche e lavori scientifici, effettuati dopo l’immissione in commercio dei prodotti medicinali realizzati dalla casa madre di Bruxelles. In virtù di un accordo commerciale tra le due società, l’onere di tali ricerche incombeva sulla società distributrice italiana, ma ciò era stato ritenuto dalla Ctr ininfluente ai fini fiscali. Né tantomeno erano state accolte le motivazioni addotte dalla contribuente, per le quali era stata attribuita rilevanza alle «informazioni sulla efficacia e tollerabilità dei farmaci», tali da farle ritenere utili ai fini del raggiungimento di un’utilità economica per la società di distribuzione. Né – proseguono i giudici di legittimità – è vero che la Ctr «avrebbe dovuto accertare l’effettivo contenuto dei test di sperimentazione e stabilire se in funzione di tale contenuto la sperimentazione potesse dispiegare un’utilità economica per la società di distribuzione». Fatto è che solamente la società madre, produttrice dei prodotti farmaceutici, avrebbe potuto trarre vantaggio dalle spese contestate alla società distributrice, non potendo certo essa intervenire nel processo produttivo per il miglioramento dei farmaci. Comunque sia «l’onere della prova dei presupposti di costi ed oneri deducibili concorrenti alla determinazione del reddito d’impresa, ivi compresa la loro inerenza e la loro diretta imputazione ad attività produttive di ricavi, tanto nella disciplina del Dpr 597 del 1973 e del Dpr 598 del 1973, che del Dpr 917 del 1986, incombe al contribuente, il quale è tenuto altresì a dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa».
Cassazione, sentenza 9466/2017