La «cooperative» scommette sul responsabile della tax compliance
L’adesione al regime di adempimento collaborativo impone, quale prerequisito, l’adozione di un sistema di rilevazione, misurazione, controllo e gestione del rischio fiscale (tax control framework), il cui efficace funzionamento comporta l’identificazione di specifiche figure deputate ad azionare i necessari controlli e a presidiare il sistema nel suo complesso.
L’articolo 4, comma 1, del Dlgs 128/2015, istitutivo del regime, ha stabilito che il sistema deve essere inserito nel contesto del sistema di governo aziendale e di controllo interno e deve contemplare una chiara attribuzione di ruoli e responsabilità ai diversi settori dell’organizzazione dei contribuenti in relazione ai rischi fiscali. Il successivo secondo comma ha inoltre espressamente stabilito che, con cadenza almeno annuale, si proceda all’invio di una relazione agli organi di gestione per l’esame e le valutazioni conseguenti.
Il provvedimento delle Entrate 54237/2016, nel confermare le citate disposizioni, ha poi sottolineato la piena autonomia delle imprese in merito alle scelte delle soluzioni organizzative più adeguate per il perseguimento degli obiettivi fissati dalle norme (paragrafo 3.1), specificando che comunque il sistema adottato deve assicurare una chiara attribuzione di ruoli a persone con adeguate competenze ed esperienze, secondo criteri di separazione dei compiti, ed esplicitare le responsabilità connesse ai ruoli in relazione ai processi di rilevazione, misurazione, gestione e controllo del rischio fiscale e garantire il rispetto delle procedure a tutti i livelli aziendali.
Successivamente, con la circolare 38/E/2016, l’Agenzia delle entrate ha ulteriormente approfondito la tematica, stabilendo anzitutto che non può essere definito un sistema di rilevazione, misurazione, controllo e gestione del rischio fiscale universalmente valido e che lo stesso deve dunque essere disegnato sulla realtà delle singole strutture d’impresa secondo una logica taylor made. Ha poi richiamato la validità dei modelli più noti e diffusi di gestione del rischio d’impresa che contemplano l’applicazione del principio della separazione dei compiti (segregation of duties) e l’implementazione di controlli di diversi livello, al riguardo ipotizzando che:
■i controlli di secondo livello possano essere affidati ad una unità fornita di specifiche competenze fiscali, appartenente alla funzione di compliance, (come già accade, ad esempio, nel settore bancario in adozione del modello tracciato nella circolare 285 della Banca d’Italia) o ad una unità inserita nella funzione fiscale, ma “segregata”, sotto il profilo organico e funzionale, da quelle cui sono demandati gli adempimenti e la consulenza in materia fiscale;
■i controlli di terzo livello possano poi essere demandati ad una funzione interna o ad un ente esterno, avente l’obiettivo di valutare periodicamente l’adeguatezza del sistema di controllo dei rischi in generale e quindi, nello specifico anche di quelli fiscali;
■l’esemplificazione pratica appena declinata non costituisce comunque un modello vincolante per le imprese che intendono aderire al regime di adempimento collaborativo.
La circolare ha precisato che il personale cui sono affidate le funzioni di controllo deve essere adeguato per numero, esperienza, competenze tecnico-professionali e aggiornamento e che i responsabili delle funzioni di controllo sono da collocarsi in posizione gerarchico-funzionale adeguata e devono avere accesso diretto agli organi sociali, comunicando con essi senza restrizioni o intermediazioni.
Come è dato vedere, il quadro emergente dalle indicazioni fornite nei testi normativi e di prassi succintamente richiamati, più che prescrivere specifiche formule organizzative di governance del rischio fiscale, offre suggerimenti e raccomandazioni in larga misura basati su modelli già esistenti e su principi di Erm (enterprise risk management) consolidati nelle best practice internazionali. Resta tuttavia fermo il principio in virtù del quale i soggetti deputati alle attività di controllo individuati sia all’interno che all’esterno dell’azienda, devono essere in possesso di esperienza e competenze tecniche adeguate. E, tenuto conto del fatto che, in ossequio al principio di indipendenza della funzione di controllo, i responsabili dei controlli di secondo e terzo livello non possono identificarsi nei responsabili della funzione fiscale all’interno dell’azienda, si pone inevitabilmente il problema di individuare figure specifiche e di esperienza e preparazione comprovate, tenendo peraltro conto che il soggetto posto al vertice del sistema di controllo del rischio fiscale dovrà interagire necessariamente con il top management della società.
Dato il tenore delle norme di riferimento e dei chiarimenti finora resi dall’Agenzia, è dunque lecito attendersi che l’esame preventivo, da parte dell’Agenzia, del tax control framework di un’impresa candidatasi all’ingresso nel nuovo regime, non si limiti a considerare la sua architettura complessiva in astratto, ma entri anche nel merito dei requisiti professionali in possesso di tutti i soggetti chiamati a far parte della catena dei controlli e, in particolare, del soggetto o dell’ente che è posto al vertice della stessa in qualità di garante di ultima istanza dell’efficace funzionamento del sistema nel suo complesso.
È dunque ipotizzabile la nascita di una specifica figura professionale, caratterizzato da un elevato livello di esperienze e competenze nella materia fiscale, definibile come tax compliance officer: a questi farebbe capo il tax control framework, ad esso spetterebbe di redigere la relazione annuale per l’organo di gestione e di implementare eventuali azioni di rimedio e ad esso competerebbe anche l’interlocuzione istituzionale con l’Agenzia delle entrate per tutto quanto ha riguardo al sistema di rilevazione, misurazione, controllo e gestione del rischio fiscale.
Con il provvedimento delle Entrate 101573/2017 , si è ulteriormente precisato che se lo sviluppo e il mantenimento del sistema di controllo interno costituisce una primaria responsabilità del contribuente, l’agenzia delle Entrate si impegna a comunicare periodicamente i risultati dell’attività di riscontro sull’operatività del sistema da essa svolta e il proprio punto di vista in merito all’architettura e all’efficacia dei controlli, nonché a collaborare fattivamente con il contribuente per l’implementazione degli eventuali interventi ritenuti necessari ai fini della permanenza nel regime (paragarfo 2.3. a).
Tradotto in un linguaggio più chiaro, l’adeguatezza dell’architettura del sistema e la sua efficacia saranno oggetto di costante osservazione da parte dell’Agenzia: laddove questa ritenesse, in qualsiasi momento, che il sistema non è più in grado di operare in modo efficace, potrebbe prendere in considerazione l’estromissione dell’impresa dal regime.
Alla luce di tali riflessioni, la scelta di un tax compliance officer di esperienza e preparazione elevate diventa fattore vitale ai fini dell’adozione in concreto di un tax control framework in grado di offrire le massime garanzie tanto ai vertici della società, quanto all’agenzia delle Entrate.