Controlli e liti

La Corte Ue «confina» le norme antiabuso interne

di Marco Piazza e Alessandro Savorana

La recente sentenza della Corte di Giustizia sul caso Eqiom SAS, C-6/16 del 7 settembre 2017 (si vedano gli articoli dell’8 settembre e del 5 ottobre 2017) riveste un particolare interesse in tema di norme antiabuso basate sull’inversione dell’onere della prova. La sentenza infatti (punto 32), fissa il principio che “per verificare se un’operazione persegue un obiettivo di frode e di abuso, le autorità nazionali competenti non possono limitarsi ad applicare criteri generali predeterminati, ma devono procedere, caso per caso, a un esame complessivo dell’operazione interessata.”, facendo molto riflettere sulla legittimità di diverse norme italiane.

La pronuncia riguarda la normativa francese sulla disciplina madre-figlia, che nega l’esenzione della ritenuta di dividendi corrisposti dalla società figlia francese alla società madre europea quando questa sia in ultimo posseduta, tramite una catena di partecipazioni, da una società residente al di fuori della UE, a meno che la società madre “non comprovi che la catena di partecipazioni non abbia come fine principale o fra i suoi fini principali quello di trarre vantaggio dall’esenzione”. Insomma, una norma avente portata generale anti-abuso con inversione del prova a carico del contribuente.

La questione non è nuova perché gli Stati membri giustificano sistematicamente le limitazioni imposte all’esercizio delle libertà fondamentali previste dal Trattato, con l’esigenza di contrastare l’elusione o erosione dell’imposta nazionale. Nel caso Eqiom, i fulmini della Corte si sono abbattuti sulla legislazione francese per violazione del principio di proporzionalità. La Corte ha ribadito l’illegittimità di una disposizione che, – subordinando l’applicazione della direttiva “madri e figlie” alla condizione che la società madre dimostri l’assenza di un fine elusivo, senza che l’amministrazione finanziaria sia tenuta a fornire il benché minimo principio di prova di frode e di abuso – istituisce una “presunzione generale di frode e di abuso” e pregiudica l’obiettivo perseguito dalla direttiva stessa, ossia evitare la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla propria società madre (v. par. 36).

Il principio espresso dalla sentenza, dunque, non è di pretendere che gli Stati membri rendano più specifici e puntuali i presupposti di applicazione delle norme antielusive, ma di imporre agli organi dell’amministrazione finanziaria deputati all’accertamento di individuare caso per caso gli elementi a base della presunzione di abuso/elusione avviando, in seguito, un contraddittorio endoprocedimentale. Anche se i presupposti di applicazione delle norme antiabuso fossero molto specifici, si tratterebbe comunque di “presunzioni generali”.

Per cui è sempre necessario un esame delle obiettive e verificabili circostanze del caso di specie e qualora sussista un fondato principio di sospetto, il contribuente potrà tuttavia superare l’eccezione dell’abuso dimostrando l’esistenza di motivi diversi da quelli meramente fiscali a giustificazione della scelta fatta. Infatti, il divieto di abuso/elusione non è applicabile se la struttura in questione può avere anche una spiegazione diversa dal semplice conseguimento del vantaggio fiscale.

La questione ci porta al comma 6 dell’art.10-bis della legge n. 212 del 2000 (Statuto del contribuente), il quale dispone che: “l’abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto, a pena di nullità, dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, in cui sono indicati i motivi per i quali si ritiene configurabile un abuso del diritto”. Questo precetto sembra rimanere “confinato”, ai soli casi “interni”. In sostanza vi è un asimmetria tra la disposizione di garanzia sopra enunciata – conforme e rispettosa del diritto comunitario (indagine preventiva dell’AF, notifica dei motivi, apertura di un contraddittorio endoprocedimentale) – e le norme del TUIR che si attengono a operazioni/strutture transnazionali all’interno della UE: fra tutte, quelle in tema di esterovestizione, CFC e sulla tassazione dei dividendi “provenienti” da Paesi a fiscalità privilegiata (art. 73, 89 e 167 del TUIR), norme tipicamente antielusive. Il perché di questo disallineamento non è dato sapere. E’ difficile immaginare però che, dopo la sentenza Eqiom, possano coesistere norme antielusive di serie A e di serie B, specie quando si versi in ambito unionale. Stando ai precetti della Corte – che considera illegittima l’inversione dell’onere della prova – la procedura di cui all’articolo 10-bis, comma 6 dello Statuto del contribuente dovrebbe essere applicata in ogni caso in cui sia contestato l’abuso del diritto, senza che siano ammesse presunzioni di abuso fondati su criteri generali predeterminati.

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