La motivazione della pretesa tributaria non si integra in giudizio
La motivazione di una pretesa tributaria deve esistere sin dalla sua origine ed essere obbligatoriamente inserita all’interno dell’avviso di accertamento notificato al contribuente. Gli argomenti dell’atto impositivo circoscrivono, nel fatto e in diritto, le motivazioni costituenti la richiesta dell’amministrazione finanziaria. Da ciò consegue il divieto assoluto di una loro integrazione o sostituzione nel corso del giudizio. È quanto emerge dall’ ordinanza 3414/2017 della Cassazione .
La vicenda trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento in materia di Tarsu, notificato dal comune di Bari per le annualità rientranti tra il 2007 e il 2011. La Ctp barese ha respinto il ricorso, mentre i giudici regionali accoglievano l’appello del contribuente con una sentenza in seguito impugnata dal comune pugliese per Cassazione. Tuttavia i giudici di legittimità hanno respinto la richiesta dell’ente locale, condannandolo anche alla corresponsione delle spese di giudizio. Relativamente al merito della controversia, l’accertamento originario determinava la Tarsu attribuendo a un immobile di proprietà del contribuente, una specifica categoria catastale, che a sua volta generava la pretesa tributaria afferente il maggior tributo. Durante le varie fasi del contenzioso, anche a fronte delle argomentazioni difensive proposte, il comune conveniva sul fatto che l’immobile appartenesse a una categoria differente rispetto a quella prospettata nell’avviso di accertamento ma tuttavia, anche applicando tale classificazione catastale, la Tarsu sarebbe risultata dovuta. A parere della Suprema corte questa “strambata” tributaria non è comunque ammissibile in quanto le motivazioni di una pretesa tributaria devono essere riportate puntualmente nell’avviso di accertamento notificato al contribuente e non possono in alcun modo essere integrate o sostituite a posteriori nel corso del giudizio.
La motivazione di un atto impositivo, pertanto, deve essere valutata in funzione dei contenuti riportati nell’atto o in un documento espressamente richiamato, purché lo stesso risulti precedentemente notificato alla controparte o riprodotto nell’atto nei suoi caratteri essenziali e tale motivazione deve sussistere sin dall’origine della pretesa, non essendo né modificabile né ampliabile e nemmeno sostituibile successivamente alla notifica dell’atto impositivo.
L’ articolo 42 del Dpr 600/1973 rappresenta la disposizione che assegna all’Ufficio i poteri di accertamento, che tuttavia devono risultare necessariamente bilanciati dalla motivazione.
La norma sulla motivazione ha la funzione di rendere noto che l’Agenzia dispone di un determinato potere accertativo in forza del quale, attraverso un provvedimento unilaterale, può generare delle conseguenze penalizzanti per il contribuente.
La parte procedimentale dell’accertamento è spesso impostata tenendo in debita considerazione l’esigenza di un bilanciamento tra il «potere di accertare» e il «diritto di difesa». Il potere conferito all’agenzia delle Entrate è sì quello di accertare, ma di accertare motivando. L’articolo 42 del Dpr 600 del 1973 impone di argomentare l’accertamento e di farlo in particolare motivando con specifica indicazione dei fatti e delle circostanze che giustificano il ricorso ai metodi induttivi piuttosto che sintetici. La scelta del metodo deve pertanto essere sempre rappresentata, così come l’individuazione di un determinato percorso accertativo deve ineluttabilmente essere motivata. Considerato che stiamo discutendo di poteri di accertamento e di funzione amministrativa - ossia dell’attività della Pubblica amministrazione - il giudice che possiede un minimo di sensibilità giuridica, comprende agevolmente che l’attività svolta dall’amministrazione finanziaria non può mai essere una attività discrezionale ma deve risultare strettamente vincolata dalla legge. E l’amministrazione deve obbligatoriamente muoversi all’interno delle regole stabilite dalla legislazione, anche quando si trova di fronte un evasore della peggior fatta. Di conseguenza, la prima “dimensione” dell’evasione che si deve necessariamente tenere in considerazione quando la si vuole contrastare è la “dimensione” della legalità.
Cassazione, ordinanza 3414/2017