Contabilità

La nuova allerta spinge le Pmi all’autodiagnosi sull’attività

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di Alessandro Danovi, Andrea Foschi e Riccardo Ranalli

Con il varo della riforma del fallimento - il Dlgs approvato in Cdm giovedì scorso approda ora in Parlamento - l’istituto dell’allerta diventerà finalmente legge nel nuovo Codice della crisi.

Si tratta di un nuovo obbligo ma anche, in seguito all’accoglimento delle richieste del Cndec, di un’opportunità per le Pmi che saranno tempestive nell’attrezzarsi. Quelle che lo faranno avranno un alleato nell’Organismo di composizione della crisi d’impresa (Ocri) che le agevolerà nella ristrutturazione del debito; quelle che tarderanno a metabolizzare le nuove regole arriveranno di fronte all’Ocri senza disporre del patrimonio informativo occorrente, che non si limita più soltanto al dato consuntivo, ma si estende a quello prospettico di forward looking al quale la riforma dà primaria rilevanza: flussi di cassa prospettici (articolo 2); sostenibilità dei debiti e continuità aziendale per i 6 mesi successivi (articolo 13); equilibrio economico finanziario e prevedibile andamento della gestione (articolo 14).

È questo un vero e proprio cambiamento culturale, destinato probabilmente a trovare resistenze da parte degli interessati: sta ai professionisti che assistono le imprese e alle associazioni di categoria far comprendere l’indifferibilità dell’innovazione.

C’è una data che le Pmi e i loro consulenti dovrebbero appuntarsi sul calendario ed è la dead line dei 18 mesi dalla pubblicazione del decreto. Da quel giorno scatterà infatti l’obbligo delle segnalazioni e, se sono giustamente temute quelle esterne dell’Erario e dell’Inps (queste ultime da sole interesseranno non meno di 12.000 imprese), non possono essere sottovalutate quelle interne - relative agli indicatori che verranno individuati dal Cndcec e approvati dal Mise - dell’organo di controllo e del revisore che non potranno esimersi, quanto meno per disgiungere la propria responsabilità da quelle dell’organo amministrativo.

Una volta che sarà stato attivato l’Ocri, al debitore resteranno pochi giorni per rispondere alle sue richieste, quali l’entità e la struttura dell’indebitamento, l’esibizione di un piano d’impresa e la determinazione dei flussi prospettici al servizio del debito. Chi non sarà in grado di dare risposte adeguate comprometterà l’efficacia dell’azione (decretandone l’insuccesso).

Se vuole evitare di essere trascinata in una spirale che, in caso di perdurante inerzia, si conclude con la segnalazione al Pm, l’impresa dovrà sin da subito approfittare della vacatio legis per verificare la violazione o meno degli indicatori (si veda la scheda pubblicata sopra). Se è positiva al test, è bene che approfitti dei prossimi 18 mesi per gestire la potenziale crisi internamente iniziando un percorso di risanamento. Nella peggiore delle ipotesi in cui non pervenga a nessun risultato si presenterà comunque davanti all’Ocri già adeguata alla riforma, massimizzando così le probabilità di successo. Ma anche se fosse negativa ai test, il periodo dei 18 mesi dovrebbe essere sfruttato: l’impresa dovrebbe dotarsi, nel rispetto dell’articolo 2086 Codice civile e degli articoli 12 e 14 del Codice della crisi, degli strumenti di pianificazione e di monitoraggio dell’andamento aziendale.

Il tempo della vacatio legis dovrebbe infine essere impiegato anche per cogliere l’opportunità offerta dall’articolo 13 ultimo comma. Per evitare il rischio di “falsi positivi”, l’impresa potrà sostituire, con l’attestazione di un professionista indipendente, gli indicatori individuati dal Cndcec con altri ritenuti più adeguati. La sostituzione avrà valenza solo dall’esercizio successivo e pertanto l’opportunità dovrà essere colta in anticipo rispetto all’entrata in vigore della norma, in tempo utile per darne notizia nella nota integrativa dell’esercizio precedente, e cioè in quella relativa al 2019.

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