La penalizzazione sull’Ace alza il tax rate
La penalizzazione per l’Ace alza sensibilmente il tax rate effettivo delle imprese per il 2017, anche se l’aliquota scende “apparentemente” al 24%. La progressiva contrazione delle deduzioni per l’incentivo alla capitalizzazione delle imprese, operata prima dalla legge di bilancio e poi dal Dl collegato alla manovra di Pasqua, finirà per riportare verso l’alto il carico fiscale che grava sugli utili delle società di capitali, che, dal 2017, doveva scendere di 3,5 punti percentuali (dal 27,5% al 24%).
La nuova, minore aliquota Ires del 24% graverà, infatti, su una base imponibile che, rispetto a quella del 2016 (quando l’imposta era al 27,5%), potrebbe salire anche di molto soprattutto per quei contribuenti che hanno realizzato ricapitalizzazioni consistenti nel 2011 e nel 2012. Queste imprese, nel calcolo dell’Ires del 2017 (dichiarazione del 2018, ma con impatto immediato a seguito della complessa e fastidiosa rideterminazione dell’acconto del 30 giugno prossimo), dovranno eliminare dalla deduzione Ace gli accantonamenti di utili a riserve e i conferimenti dei soci effettuati nel primo biennio di applicazione dell’agevolazione. Il Dl di Pasqua ha infatti previsto che, d’ora in poi, rilevino solo gli incrementi patrimoniali dell’ultimo quinquennio (per il 2017, in particolare, quelli eseguiti dal 2013 in poi). La legge di bilancio n. 232/2016 aveva inoltre colpito l’Ace dimezzando (dal 4,75% al 2,3%) il coefficiente da utilizzare per calcolare lo sconto dall’imponibile. La combinazione di queste due misure potrebbe far alzare l’aliquota effettiva rispetto al 2016 (salvo l’eventuale impatto del super e iper ammortamento) di una frazione non trascurabile, senza però che di questo aumento di imposizione vi sia traccia a livello di aliquote, che apparentemente evidenziano il descritto calo di ben 3,5 punti.
Il più recente intervento, come detto, rende mobile il termine inziale di rilevanza delle ricapitalizzazioni: dal 31 dicembre 2010 (fisso) si passa al 31 dicembre del quinto anno precedente. Questa correzione, se a livello generale porta come detto a depotenziare non poco l’incentivo, non è però detto che abbia un effetto di minore incentivazione alla ricapitalizzazione delle imprese.
La norma precedente, infatti, attribuiva il bonus in modo “perenne” a chi, anche solo in un anno, e magari assai remoto, aveva operato un incremento patrimoniale trattenendo utili o aumentando il capitale. Nuove e ulteriori ricapitalizzazioni aggiungevano semplicemente una deduzione a quella già spettante con un effetto moltiplicativo ed illimitato del beneficio che forse era opportuno rivedere. Con il nuovo criterio, gli imprenditori, trascorso l’arco quinquennale di rilevanza degli apporti, perderanno il risparmio fiscale connesso con la patrimonializzazione dell’anno più remoto e dovrebbero, almeno si spera, essere incentivate a effettuare nuovi versamenti alle loro società. Per avere uno sconto rilevante, dunque, si dovrà continuare ed anzi amplificare, le politiche di capitalizzazione, non potendo più le imprese “vivere di rendita” sugli incrementi di capitale fatti una tantum.
Una norma che ha dunque luci ed ombre, ma che in ogni caso non va nel senso di ridurre la tassazione degli utili delle imprese.