La pubblicità non si giudica solo dai ricavi
Una volta che i verificatori pongono in dubbio l'entità del costo ritenuto esoso, ovvero il ricavo stimato al contrario esiguo, la difesa più convincente consiste nel rappresentare le ragioni per le quali il comportamento tenuto dall'azienda apparentemente antieconomico abbia in realtà motivazioni differenti dalla semplice riduzione del reddito imponibile.
Una questione molto delicata, ad esempio, attiene le transazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e tutte aventi sede nel territorio nazionale. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale la regola generale dei prezzi di trasferimento e quindi la possibilità di rettificare l'importo delle transazioni sulla base del “valore normale” può riguardare anche le operazioni infragruppo interne. Ciò nonostante la norma di riferimento preveda l'applicazione di tale regola solo in presenza di operazioni con una o più imprese collocate all'estero e non anche in ambito nazionale. In questi casi è opportuno dimostrare che il valore non si discosta da transazioni similari tra soggetti non legati da alcun vincolo imprenditoriale.
Spesso poi l'antieconomicità è contestata in presenza di spese di rappresentanza e pubblicità e sono ritenute poco credibili le somme corrisposte ove non riconducibili direttamente all'attività esercitata o alla clientela dello sponsor.
Occorre innanzitutto ricordare che la giurisprudenza di legittimità (Cassazione 21578/2017), ha affermato che le spese fino a 200mila euro in favore di enti sportivi dilettantistici che svolgono attività nei settori giovanili riconosciuti dalle federazioni sportive, costituisce una spesa deducibile: si tratta, infatti, di una presunzione legale assoluta voluta dal legislatore (articolo 90, legge 289/2002), per la quale non occorre dimostrare l'inerenza. È comunque buona regola conservare foto di eventi, striscioni, tabelloni, magliette, riprese televisive eccetera a sostengo della veridicità dell'operazione.
Per dedurre tali somme, è normalmente richiesta una correlazione, per quanto astratta e potenziale, tra tipologia di sponsorizzazione e attività svolta.
Devono così essere valutate preventivamente le ragioni commerciali della pubblicità (fattore territoriale, presenza di clienti/fornitori eccetera), senza che occorra, tuttavia, una correlazione diretta tra il costo e l'incremento del fatturato/utile (sarebbe difficile individuare l'arco temporale di rifermento e poi l'iniziativa potrebbe riguardare anche fornitori e quindi non essere correlata ai ricavi). È poi opportuno che nell'accordo sia dettagliato il costo, soprattutto se sono previste varie forme e modalità (ad esempio, striscioni, evidenze su automezzi, indicazioni su abbigliamento, passaggi televisivi).
Da rilevare infine che il controllo interviene dopo molto tempo ed è semplice trarre giudizi sui dati di bilancio e quindi, in ultima analisi, confrontare quanto speso con quanto guadagnato. L'imprenditore, invece, quando assume le decisioni, non conosce l'utile che conseguirà e, tantomeno, quanto possa fruttargli un investimento in pubblicità. Potrebbe essere utile conservare prove (documenti di sintesi, relazioni, corrispondenza) che diano evidenza delle motivazioni della scelta.