La straordinaria amministrazione non autorizzata «revoca» il concordato preventivo
Dopo l’ammissione al concordato preventivo l’imprenditore è legittimato nella fase preconcordataria a porre in essere senza autorizzazione del giudice delegato soltanto atti di ordinaria amministrazione. Il carattere di straordinaria amministrazione degli atti eseguiti senza l’autorizzazione del giudice delegato compromette la capacità finanziaria dell’impresa nel soddisfare le preesistenti ragioni dei creditori ed incide negativamente sul patrimonio senza una corrispondente acquisizione di utilità reali. Un accordo transattivo intervenuto con un dirigente che impegna l’impresa per 120mila euro e la stipula di un contratto di servizi per 30mila euro incidono significativamente sul suo patrimonio e quali atti di straordinaria amministrazione, laddove posti in essere in assenza di autorizzazione del giudice delegato, possono determinare la revoca o l’inammissibilità del concordato preventivo. Così la sentenza n. 15467-2017 della Cassazione, prima sezione civile (presidente e relatore Nappi) depositata giovedì scorso.
Dopo l’ammissione al concordato preventivo il Tribunale contesta ad una società per azioni di avere dato corso ad atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza avere preventivamente ottenuto l’autorizzazione del giudice delegato. Ciò per avere dapprima licenziato un dirigente ed essersi poi con questi accordato in via transattiva riconoscendogli una buonuscita di 120mila euro e anche per avere stipulato un contratto di appalto di servizi per 30mila euro. Il giudice sancisce l’inammissibilità del concordato ed il pm, ravvisando il pregiudizio recato alle ragioni del ceto creditorio e lo stato di insolvenza così palesato, richiede ed ottiene dal Tribunale il fallimento della società.
La società si oppone con reclamo ante la Corte d’appello. Gli atti posti in essere non sono di straordinaria bensì di ordinaria amministrazione perché non hanno recato pregiudizio ai creditori e non hanno neppure inciso significativamente sul patrimonio. Il P.M. insiste per la legittimità del fallimento e la Corte, sposando la sua tesi, rigetta il reclamo.
La fallita non demorde e va in Cassazione, che sconfessa definitivamente la sua pretesa di ritorno in bonis. In tema di concordato preventivo, secondo la Corte, la valutazione del carattere di straordinaria amministrazione degli atti posti in essere dal debitore senza l’autorizzazione del giudice delegato deve fare emergere la compromissione della capacità a soddisfare le preesistenti ragioni dei creditori incidendo negativamente sul patrimonio e determinandone la sua riduzione ovvero il suo aggravamento, per vincoli e pesi, senza l’acquisizione di una corrispondente utilità reale.
Nel caso esaminato - conclude la Corte - è indubitabile che la transazione effettuata con il dirigente e la successiva stipula del contratto di servizi hanno inciso significativamente sul patrimonio ben potendo così essere ricondotti ad atti di straordinaria amministrazione, che in assenza di autorizzazione del giudice delegato, possono legittimare, la dichiarazione di revoca o di inammissibilità del concordato preventivo.
La sentenza n.15467/17 della Cassazione