Imposte

Ma la responsabilità deve restare limitata

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di Paolo Meneghetti

Il tema della responsabilità rispetto alle obbligazioni sociali è un nodo delicato per tutte le società che chiudono la liquidazione volontaria senza aver saldato tutti i debiti.

La questione si pone spesso per i debiti tributari, e se per le società di persone vale l'assunto di base secondo cui anche i soci rispondono personalmente dei debiti sociali, così non è per le società di capitali. Per queste ultime, infatti, vale anche in fase di liquidazione il principio della irresponsabilità personale dei soci rispetto alle obbligazioni sociali. A norma dell'articolo 2495, comma 2, del Codice civile, per i debiti non estinti i creditori possono rivolgersi ai soci solo se questi hanno incassato somme derivanti dalla attività di liquidazione (o al liquidatore se il mancato pagamento è dipeso da colpa di quest'ultimo).

Tali principi sono stati messi in dubbio da una recente sentenza della Cassazione (la 17243 del 2 luglio scorso), dalla cui succinta motivazione emergono passaggi preoccupanti e non condivisibili. La Corte afferma che il socio subentra con un fenomeno di tipo successorio per cui i debiti insoddisfatti dalla società si trasferiscono al socio. E ciò accade, si legge, «indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione» poiché, sempre secondo la Corte «la responsabilità del socio di società di capitali (…) non subisce limitazione alcuna in ragione dell'entità del conferimento in favore dei soci».

La Cassazione ritiene che queste posizioni siano in linea con un precedente spunto giurisprudenziale di grande rilevanza poiché assunto a Sezioni unite: si tratta della sentenza 6070/2013, che non pare però confermate le posizioni “estreme” delle recente sentenza del 2018.

È opportuno scindere l'aspetto procedurale da quello sostanziale. Anche la sentenza a Sezioni unite parla di fenomeno di tipo successorio per definire quale sia il rapporto tra la società estinta e i soci, ma un conto è riconoscere che i procedimenti in corso non si estinguono per effetto della cancellazione della società, altro è affermare che anche le obbligazioni sociali si trasferiscono ai soci. In questo senso è più che opportuna la precisazione che si legge nella sentenza a Sezioni unite in cui si legittima sì il trasferimento delle pendenze sociali sui soci ma «salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati».

Questo ad avviso di chi scrive è il nodo centrale: il creditore non deve intentare un nuovo procedimento contro i soci per ottenere soddisfazione, né si può dire che il giudizio si estingue per effetto della cancellazione della società debitrice, ma resta fermo che il trasferimento della responsabilità in virtò della “successione” del socio incontra il limite del perimetro di responsabilità che il tipo societario, cui il socio partecipa, presenta.

In questo scenario non c'è alcun pregiudizio delle ragioni creditorie poiché anche “vigente la società” il creditore non avrebbe potuto contare su altro se non il patrimonio sociale: non avrebbe senso pensare che questo assunto viene meno nel momento in cui la società cessa la propria esistenza. Anzi le previsioni dell'articolo 2495 già citato e dell'articolo 36 del Dpr 602/73 servono proprio a stabilire la specificità della responsabilità dei soci, che sì sussiste, ma delimitata da parametri ben precisi.

In entrambi i casi sono le somme incassate dai soci durante la fase di liquidazione (o anche nel biennio precedente per i debiti tributari) a definire il limite di responsabilità, il che conferma che senza un incasso dei soci non si può parlare di loro coinvolgimento nei debiti sociali civili e fiscali.

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