Mancata iscrizione Aire: verso il superamento della presunzione assoluta
Ai fini dell’accesso ai regimi fiscali agevolativi di cui agli articoli 16 del Dlgs.n.147/2015 (“lavoratori impatriati”) e 44 del Dl n. 78/2010 (“rientro dei cervelli”) non è più necessaria la pregressa iscrizione all’anagrafe della popolazione residente all’estero (Aire), assumendo esclusiva rilevanza la pregressa residenza in uno Stato estero ai sensi delle Convenzioni contro le doppie imposizioni. Questa è una delle significative novità introdotte dall’articolo 5 del Dl 34/2019 (decreto Crescita).
Trattasi di una soluzione normativa da accogliere con estremo favore, frutto di una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2, comma 2 Tuir, che non può che produrre i suoi effetti anche oltre lo specifico ambito applicativo dei regimi agevolativi in discorso.
Essa va infatti a scardinare l’interpretazione da sempre fornita dall’amministrazione finanziaria (risoluzione 351/2008 e circolare 304/E del 1997) e soprattutto dalla Cassazione (n. 16334/2018) secondo cui l’iscrizione anagrafica nelle liste della popolazione residente e, conseguentemente, la mancata iscrizione all’Anagrafe della popolazione residente all’estero (Aire) avrebbe, ai fini e per gli effetti dell’articolo 2, comma 2, del Tuir, valore di presunzione assoluta di residenza nel territorio dello Stato «preclusiva di ogni ulteriore accertamento».
La suddetta tesi è stata duramente (e condivisibilmente) criticata in dottrina, poiché si è innanzitutto rilevato che in ambito civile - a cui lo stesso articolo 2 Tuir rinvia - le risultanze anagrafiche rivestono valore di presunzioni relative e che dunque in caso di conflitto tra queste ultime e l’effettiva residenza, sono sempre le prime ad avere la peggio qualora non rispecchino la reale situazione di fatto.
Inoltre, si è correttamente affermato come l’interpretazione che privilegi, in forza di una presunzione assoluta, il dato formale dell’iscrizione anagrafica rispetto la residenza effettiva, si ponga in chiaro contrasto con gli articoli 2, 3 e 53 della nostra Carta costituzionale, comportando una evidente discriminazione tra soggetti che si trovano in condizioni perfettamente analoghe dal punto di vista del radicamento nel territorio dello Stato ma che, in considerazione di un elemento meramente formale (quali sono le risultanze anagrafiche) sono tuttavia soggetti a prelievi tributari diversi, in palese violazione del principio di capacità contributiva.
Mediante una lettura costituzionalmente orientata dell’articolo 2, comma 2, del Tuir deve essere dunque sempre consentito ai soggetti passivi che siano in grado di dimostrare il difetto di un sostanziale “collegamento” con il territorio dello Stato, di sottrarsi legittimamente all’obbligo di contribuzione, in assenza di qualsivoglia effettiva capacità contributiva nel nostro Paese.
Ecco che, in questo senso, la soluzione offerta del Legislatore con il decreto Crescita di richiamare la nozione di residenza convenzionale e, dunque, di rinviare ai criteri di cui all’articolo 4, paragrafo 2, del modello di convenzione Ocse (“tie break rules”) sembra muoversi nella direzione giusta.
I criteri stabiliti dall’articolo 4, paragrafo 2, del modello di convenzione Ocse (nell’ordine: abitazione permanente a disposizione; centro degli interessi vitali; luogo di soggiorno abituale; nazionalità) sono infatti caratterizzati (a parte il criterio della “nazionalità”) dal requisito dell’effettività, e pertanto, il loro richiamo consente agevolmente al soggetto effettivamente radicato in uno Stato estero e privo di collegamenti con lo stato italiano di sottrarsi giustamente all’obbligo di imposizione in Italia, dimostrando la residenza effettiva nello Stato estero, a prescindere dal dato meramente formale dell’iscrizione anagrafica.
Inoltre, il richiamo alla normativa convenzionale operato dal Legislatore appare peraltro rispettoso dell’articolo 117, comma 1, Costituzione, ai sensi del quale la «potestà legislativa è esercitata dallo Stato (...) nel rispetto (...) dei vincoli derivanti (...) dagli obblighi internazionali».
Il sostanziale superamento - proposto dal legislatore con il decreto Crescita - della tesi circa la valenza di presunzione assoluta, ai fini del radicamento della residenza, del dato meramente formale rappresentato dalle risultanze anagrafiche, deve senz’altro produrre i suoi effetti, come si diceva in apertura, anche al di là dal campo di applicazione dei regimi agevolativi di cui articoli 16 del Dlgs 147/2015 e 44 del Dl 78/2010.
La soluzione normativa proposta deve, in particolare, condurre l’amministrazione finanziaria a rivedere i procedimenti accertativi fondati esclusivamente sul dato anagrafico, aprendo le porte all’interlocuzione preventiva con il contribuente, proprio per consentirgli di dimostrare la propria residenza effettiva anche secondo i criteri stabiliti dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni, a prescindere dalle risultanze anagrafiche, nel rispetto dei principi costituzionali sopra richiamati.