Movimenti bancari dei soci «estesi» anche alla società
In tema di accertamento Iva sulle società di persone a ristretta base familiare la Cassazione, attraverso l’ ordinanza 24699/2016 , ha ribadito che l’agenzia delle Entrate è legittimata a utilizzare, nell’esercizio delle funzioni a essa ascritte, le informazioni estrapolabili dalle movimentazioni dei conti correnti bancari intestati ai soci, attribuendo alla società stessa le operazioni in essi riportate, in forza della relazione di parentela esistente e sufficiente a far presumere, fatta salva la possibilità di dimostrare la differente provenienza dei versamenti, la sostanziale coincidenza tra gli interessi dei soci e quelli della società e, pertanto, a individuare gli interessi economici perseguiti dall’ente rispetto a quelli dei soci medesimi. A parere della Suprema corte, pertanto, le operazioni bancarie effettuate sui conti privati di attori vincolati al contribuente da una relazione parentale o da specifiche relazioni convenzionali, possono essere attribuite al soggetto passivo, salvo prova contraria a carico del contribuente finalizzata a individuare ricavi non occultati in quanto, le menzionate relazioni di prossimità, raffigurano elementi indiziari i quali, per i giudici di legittimità, acquisiscono la consistenza di presunzione legale relativa qualora l’intestatario della relazione bancaria non sia nella condizione di giustificare la provenienza delle sostanze addebitate e/o accreditate e non disponga di ulteriori fonti di reddito o di risorse patrimoniali personali.
Tuttavia la rappresentazione fornita dalla Suprema corte secondo la quale ci troveremmo al cospetto di una presunzione legale relativa non risulta affatto persuasiva.
La prima considerazione afferisce al contenuto dell’articolo 32 del Dpr 600/1973 il quale si posiziona su un determinato piano istruttorio e, di conseguenza, non si trova nella condizione di disciplinare alcuna attività accertativa sebbene, come è noto, le disposizioni che regolamentano esclusivamente l’attività istruttoria possano contenere delle presunzioni le quali, a loro volta, risultano essere regolamentate esclusivamente mediante le norme che disciplinano l’attività di accertamento.
È necessario inoltre evidenziare come la disciplina preveda che le risultanze emergenti dalle indagini finanziarie vengano «poste a base delle rettifiche e degli accertamenti». La circostanza che i movimenti bancari effettuati dal contribuente siano «posti a base» delle rettifiche non sta a significare che l’ammontare degli stessi debba automaticamente essere riclassificato come un maggiore reddito di importo coincidente con le risultanze delle menzionate verifiche. «Porre a base» sta a significare che, in forza dell’informazione recuperata dall’agenzia delle Entrate, possono scaturire differenti effetti che non necessariamente devono collimare con la puntuale riqualificazione del dato emerso in maggior reddito imputato al contribuente.
La disciplina in esame, inoltre, non illustra in modo sufficiente, in merito alla presunzione, né il fatto noto né il fatto ignorato, postulati «necessari» per qualificare come tale una congettura. Ma il fatto emblematico viene rappresentato dalla circostanza per la quale la disciplina dispone che le operazioni sono poste a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del medesimo Dpr 600/1973.
Tutto ciò sta a rappresentare che le informazioni ricavate attraverso le indagini finanziarie devono necessariamente essere convogliate all’interno delle disposizioni proprie che regolamentano tali accertamenti.
La circostanza che l’articolo 32 del Dpr 600/1973 preveda che il contribuente abbia la facoltà di dimostrare che «ne ha tenuto conto per la determinazione del reddito soggetto ad imposta o che non hanno rilevanza allo stesso fine» non genera l’inversione dell’onere della prova, ma bensì attesta la necessità di completare il contraddittorio antecedentemente alla notifica dell’atto impositivo. La disciplina, specificamente posizionata tra le norme istruttorie e non tra le disposizioni legittimanti l’imposizione, non regola pertanto un onere probatorio ribaltato sul contribuente ma bensì la necessità che il medesimo soggetto abbia la possibilità di fornire anticipata dimostrazione dell’effettiva «fondatezza» delle informazioni recuperate dall’amministrazione finanziaria, affinché possano essere stralciate, dall’ipotetico accertamento, quelle per le quali sono state fornite giustificazioni adeguate.
La disciplina contenuta nell’articolo 32 non può, pertanto, essere considerata una disposizione in grado di giustificare un atto di accertamento ma bensì di disciplinare l’acquisizione, da parte dell’ufficio, di «conoscenze fiscalmente rilevanti» finalizzate ad argomentare l’eventualmente redazione del successivo atto impositivo. La fase conoscitiva dispone di una palese indipendenza in relazione all’attività di accertamento al punto che, nell’ambito di quest’ultima, l’attività di conoscenza viene valorizzata e determinata con regole specifiche e postulati sanciti all’interno delle disposizioni che regolano le attività accertative. Nell’esercizio di tale attività l’Ufficio è condizionato da specifiche procedure dettate dalla norma e pertanto l’accertamento nei confronti degli imprenditori può essere emanato esclusivamente attraverso le regole contenute nell’articolo 39 del Dpr 600/1973, all’interno del quale non è prevista alcuna presunzione legale in grado di ribaltare l’onere probatorio in capo al soggetto passivo.
Pertanto le disposizioni contenute nell’articolo 32 del Dpr 600/1973 e nell’articolo 51 del Dpr 633/1972 non disciplinano alcuna presunzione legale e, di conseguenza, non sono in grado di generare alcun tipo di automatismo probatorio. Le norme regolamentano esclusivamente gli esiti dell’attività conoscitiva scaturente dalle indagini finanziarie che a loro volta devono, se del caso, essere indirizzate verso l’attività di accertamento nel rispetto delle disposizioni disciplinanti questa peculiare attività.