Imposte

Nella querelle sull’articolo 20 dell’imposta di registro dalla Corte Ue arriva l’ennesimo stop

L’applicazione estensiva dell’articolo 20 dell’imposta di registro da parte delle Entrate resta preclusa, ora che la Cgue ha dichiarato irricevibile la questione pregiudiziale posta dalla Cassazione

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di Pasquale Murgo

Manifestatamente irricevibile. È questo il giudizio espresso dalla Corte di giustizia europea nell’ordinanza C-250/22 del 21 dicembre 2022 in relazione alla questione pregiudiziale posta dalla Corte di cassazione sul rapporto tra l’articolo 20 del Dpr 131/1986 (imposta di registro) e alcune disposizioni della direttiva comunitaria Iva. È il più recente capitolo della lunghissima saga tutta italiana sull’interpretazione dell’articolo 20 dell’imposta di registro.

Riavvolgendo il nastro, nel corso degli anni l’agenzia delle Entrate ha utilizzato “estensivamente” l’articolo 20 dell’imposta di registro al fine di accertare e riqualificare talune operazioni di cessione di partecipazione sovente precedute da conferimenti di azienda, (con applicazione del registro in misura fissa), in cessioni di azienda (con applicazione del registro al 3%). Tale situazione ha comportato un forte contenzioso con sentenze spesso contrastanti da parte della stessa Cassazione.

Per porre fine a tale contrasto e ristabilire certezza agli operatori è intervenuto il legislatore. Dapprima con l’articolo 1, comma 87 della legge 205/2017 è stato modificato direttamente l’articolo 20 del Dpr 131/1986 ove ora si prevede che «l’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi». In tal modo è stata limitata l’applicabilità dell’articolo 20 del registro alle rettifiche sul singolo atto, senza possibilità di valutare altri elementi extratestuali allo stesso e prevedendo comunque negli altri casi l’applicabilità dell’articolo 10-bis della legge 212/2000 (come previsto dall’articolo 53-bis del Dpr 131/1986).

Successivamente con l’articolo 1, comma 1084 della legge 145/2018 è stata data valenza retroattiva alle modifiche appena descritte con l’intento di chiudere, anche per il passato, i contenziosi causati dall’interpretazione estensiva dell’articolo 20 del registro. Sul punto però, la Corte di cassazione con l’ordinanza 23549 del 2019 poi seguita anche dalla Cgt di primo grado di Bologna ha posto la questione di legittimità costituzionale sulle modifiche dell’articolo 20 del registro. La Corte costituzionale con le due sentenze 158/2020 e 39/2021 ha ritenuto non fondate tali questioni.

Quando, quindi, si pensava definitivamente chiusa la questione è intervenuta nuovamente la Cassazione che con l’ordinanza 10283/2022 ha posto una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia europea sull’ambito di applicabilità dell’articolo 20 del registro. La Corte di giustizia europea con l’ordinanza del 21 dicembre 2022 ha dichiarato manifestatamente irricevibile la domanda di pronuncia pregiudiziale evidenziando:
• da un lato che la Suprema corte si è interrogata sulla compatibilità comunitaria della normativa nazionale in materia di imposta di registro che non costituisce un tributo armonizzato dell’Unione (è evidente che la Corte di giustizia europea può esprimersi solo in materia di tributi armonizzati);
• dall’altro che la Suprema corte non ha comunque fornito tutti gli elementi utili alla Corte di giustizia europea per esprimersi sulla questione.

Su questo secondo punto la Corte di giustizia europea lascia aperto ancora uno spiraglio, ricordando che la Suprema corte potrebbe ripresentare una nuova domanda di pronuncia pregiudiziale fornendo tutti gli elementi utili per pronunciarsi.

La sentenza della Corte di giustizia europea potrebbe mettere la parola fine alla vicenda. Dal punto di vista operativo, resta da vedere quale orientamento terranno gli uffici dell’agenzia delle Entrate che hanno ancora in corso cause sull’applicazione “estensiva” dell’articolo 20 del registro; cause che – allo stato – paiono destinate a concludersi a favore dei contribuenti.

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