Imposte

Niente bonus R&S ai progetti senza innovazione e rischio finanziario

di Michele Brusaterra


Non rientrano fra le spese agevolabili di ricerca e sviluppo, quelle con riferimento alle quali manca sia il requisito della novità, sia quello del rischio finanziario e dell’insuccesso tecnico.

Con la risoluzione 46/E del 22 giugno scorso, l’agenzia delle Entrate è tornata nuovamente sulla agevolazione concessa per i soggetti che effettuano spese di ricerca e sviluppo per un ammontare eccedente la media del triennio 2012-2014.

L’occasione è sorta per fornire chiarimenti con riferimento all’attività, descritta dall’istante, che consente, in tema di fiere e in una logica di «smart factory», di integrare la catena logistica di produzione della fiera, includendo tutti i processi relativi a visitatori, espositori e fornitori in una prospettiva di aumenti di efficacia ed efficienza, e dall’altra, di avvicinare i servizi alle persone, creando servizi innovativi attraverso il cosiddetto «Internet of Things».

Da un punto di vista pratico, si tratta di attività di «progettazione, programmazione e realizzazione di software, di servizi web, app e di impianti tecnologici», che sono destinati a supportare, come viene affermato dall’istante, «l’intero processo di produzione fieristica».

La finalità, tra le altre, è quella di consentire non solo di colmare gap attualmente presenti nei sistemi che gestiscono le attività correlate alla partecipazione alle manifestazioni fieristiche, ma anche quella di digitalizzare integralmente i flussi documentali, migliorare e ampliare i database integrandoli con informazioni sui comportamenti degli utenti e sviluppare processi di valutazione dei risultati operativi.

L’agenzia delle Entrate, fatto presente che trattandosi di individuare se determinate attività rientrino o meno tra quelle oggetto dell’agevolazione ed evidenziando che l’articolo 3, ai commi 4 e 5, e l’articolo 2 del decreto attuativo del 27 maggio 2015, elencano le attività di ricerca e sviluppo ammissibili all’agevolazione, mentre il comma 6 dell’articolo 3 individua gli investimenti ammissibili, ha affermato di aver chiesto chiarimenti al Mise, per poter esprimersi sulla questione.

Fatto presente che le attività agevolabili indicate dalla norma sono comunque quelle che vengono ricomprese nelle definizioni di «ricerca fondamentale», «ricerca applicata» e «sviluppo sperimentale», l’amministrazione finanziaria fa presente che le attività indicate nell’istanza di interpello riguardano, in realtà, una serie di tecnologie che risultano essere già disponibili e ampiamente diffuse in tutti i settori economici, incluso quello dei servizi, per accompagnare e realizzare la trasformazione tecnologica e la digitalizzazione dei processi produttivi secondo il paradigma «Industria 4.0».

Gli investimenti indicati non possono, quindi, essere qualificati come ricerca e sviluppo, ai fini della disciplina del credito d’imposta di cui al Dl 145/2013, in quanto mancano sia il requisito della novità, sia quello del rischio finanziario e dell’insuccesso tecnico, che «dovrebbero caratterizzare tipicamente gli investimenti in ricerca e sviluppo».

A tale conclusione l’agenzia delle Entrate e, più in particolare, il Mise arrivano facendo anche riferimento ai criteri di classificazione definiti delle attività di ricerca e sviluppo fornite in ambito Ocse e, più specificamente, nel cosiddetto «Manuale di Frascati, concernente «Guidelines for Collecting and Reporting Data on Research and Experimental Development».

Per ulteriori approfondimenti vai alla sezione «Circolari 24» del Quotidiano del Fisco

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