Controlli e liti

Niente obbligo di rettifica Iva per l’immobile in lease-back

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di Raffaele Rizzardi

Continuano le sentenze della Corte Ue in tema di leasing, che quanto prima dovranno imporre anche la riforma della normativa civilistica sui bilanci per rispettare il postulato della prevalenza della sostanza della forma, peraltro formalizzato dall’articolo 2423-bis del Codice civile.

Il giudice europeo si pronuncia in tema di Iva, relativamente alla quale non troviamo formalizzato un analogo principio, ma che possiamo ritenere di natura interpretativa in base all’articolo 1362 del Codice civile, secondo cui la comune intenzione dei contraenti (da cui discende il regime fiscale applicabile alla transazione) deve essere valutata in base al loro comportamento complessivo, anche posteriore alla conclusione del contratto.

Con la sentenza Mercedes Benz UK (4 ottobre 2017, nella causa C-164/16 ) la Corte ha già qualificato come locazione-vendita (con la conseguente imponibilità immediata di tutte le rate e del riscatto) il leasing nel quale l’unica scelta ragionevole – in funzione del basso livello del corrispettivo finale – è quella di esercitare l’opzione di acquisto.

Con la più recente sentenza del 27 marzo 2019 (nella causa C-201/18 – Mydibel ) la Corte si occupa di un contratto di lease-back, nello specifico per l’eventuale rettifica della detrazione sul bene, prima acquistato e poi ceduto alla società di leasing per questa operazione. Prima di analizzare l’aspetto relativo a questo tributo, dobbiamo fare necessariamente due puntualizzazioni sulla disciplina civilistica del lease-back:

1) non può più essere considerato locazione finanziaria, in quanto questo contratto è stato finalmente disciplinato dall’articolo 1, commi 136 a 140, della legge 4 agosto 2017 n. 124 in conformità alla relativa convenzione internazionale Unidroit, secondo cui il leasing è un contratto trilaterale, che vede necessariamente un soggetto finanziatore che si obbliga ad acquistare o a far costruire un bene su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che ne assume tutti i rischi, anche di perimento;

2) la plusvalenza tra il finanziamento ricevuto e il costo del bene dato in «operazioni di compravendita con locazione finanziaria al venditore» deve essere ripartita in funzione della durata del contratto di locazione.

Il punto 2) è disciplinato dall’ultimo comma dell’articolo 2425-bis del Codice civile, che dovrà necessariamente essere rivisto per il sopra evidenziato contrasto con la definizione di locazione finanziaria.

La sentenza della Corte su queste operazioni prende atto della normativa belga, nella quale il soggetto che ha chiesto un finanziamento da lease-back cede il bene in diritto di enfiteusi (da noi l’articolo 957 e seguenti), che comunque costituisce un diritto reale, risalente al diritto romano ed applicato nei fondi rustici (era il caso oggetto della lite, in quanto l’impresa si occupava della lavorazione di patate, che presumibilmente anche coltivava).

La sentenza dà atto che la costituzione di questo diritto reale non ha dato luogo a operazioni rilevanti ai fini Iva, e deve decidere sull’eventuale rettifica della detrazione per aver fatto “uscire” un bene su cui era stata recuperata l’imposta all’acquisto.

La Corte ritiene che non vi sia stata in realtà nessuna cessione, in quanto il bene di investimento è rimasto in possesso del soggetto passivo ed è stato utilizzato per la sua attività soggetta ad imposta, ininterrottamente e in modo duraturo, sia prima sia dopo l’operazione.

Al punto 34 della sentenza questa nozione è affermata in modo ancor più puntuale: «La Corte ha precisato che la nozione di “cessione di beni” si riferisce non al trasferimento di proprietà nelle forme previste dal diritto nazionale vigente, bensì a qualsiasi operazione di trasferimento di un bene materiale effettuata da una parte che autorizza l’altra parte a disporre di fatto di tale bene come se ne fosse il proprietario».

Come accennato, i tempi sono maturi per la revisione della nostra normativa e prassi, sia su leasing che lease-back. Insistere nelle regole attuali è come voler nascondere un elefante dietro a uno stuzzicadenti.

Corte di giustizia Ue, causa C-201/18, sentenza del 27 marzo 2019

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