Pace fiscale, se la Cassazione rinvia si paga l’intera imposta
Le attuali disposizioni suscitano qualche perplessità sulle somme da versare per la definizione delle liti nelle ipotesi di rinvio alla Ctr da parte della Cassazione. Vediamo in dettaglio le possibili soluzioni al quesito del lettore.
Il rinvio dalla Cassazione. La norma non prevede come calcolare le somme dovute nell’ipotesi di rinvio della decisione da parte della Cassazione. L’art. 2, infatti, deroga il pagamento del 100% delle imposte dovute ovvero del 40% delle sanzioni, solo nell’ipotesi in cui al 24 ottobre 2018 esista una pronuncia favorevole al contribuente emessa dalla Ctp o dalla Ctr. Per la decisione di rinvio della Cassazione, quindi, non esistendo un’espressa deroga, dovrebbe valere la regola generale, ossia che per la pace fiscale è dovuto il 100% delle imposte ovvero il 40% delle sanzioni. Nel caso del quesito pertanto la definizione comporta il pagamento dell’intera imposta inizialmente pretesa.
La conferma di tale interpretazione si riscontra anche dalla relazione illustrativa. Si tratta, tuttavia di circostanza quanto meno singolare perché, nel caso opposto a quello oggetto del quesito, il contribuente vittorioso in Cassazione, pur se con rinvio, dovrebbe pagare la totalità del dovuto, a differenza di chi, vittorioso in secondo grado, ne paga soltanto il 20%. È auspicabile che in sede di conversione sia modificata questa previsione onde conferire maggior valore alla decisione della Suprema Corte rispetto a quella della commissione di seconde cure.
Se viene fissata udienza in Cassazione. Al momento appare prudenziale per chi ha un contenzioso in corso presso la Suprema Corte, per il quale è stata già fissata la data dell’udienza, richiederne la sospensione dichiarando di volersi avvalere della definizione. Tale richiesta non dovrebbe essere vincolante in quanto la norma prevede un’ulteriore sospensione (fino al 31 dicembre 2020) soltanto per chi ha depositato, entro il 10 giugno 2019, copia della domanda e del versamento. In questo modo il contribuente: a) cui è stato notificato dall’Agenzia un ricorso per Cassazione (ed è quindi risultato vittorioso in secondo grado) potrebbe definire la lite pagando il 20% della inziale imposta pretesa; b) che ha proposto ricorso per cassazione (perché soccombente nel grado di appello) potrà valutare se definire pagando l’intera imposta pretesa tenendo presente che, in caso di soccombenza nel giudizio di legittimità, la pretesa dell’Ufficio diviene definitiva pur nelle more della pace fiscale e quindi occorrerà corrispondere anche le sanzioni e gli interessi.
Accoglimenti parziali. Il quesito offre lo spunto poi per segnalare che la norma, in ogni caso, non chiarisce le modalità di calcolo per i casi di accoglimenti parziali delle impugnazioni. È verosimile che in tali ipotesi sarà necessario individuare la somma relativa alla soccombenza del contribuente (per la quale è dovuta l’intera maggiore imposta) rispetto a quella relativa all’accoglimento del suo ricorso (per la quale è invece dovuta la metà ovvero un quinto della maggiore imposta pretesa). Ovviamente, se come nella vicenda oggetto del quesito la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’ufficio non si tratta più di una soccombenza parziale dovendosi così versare l’intera imposta inizialmente pretesa. Vi sono poi i casi di parziale definitività della pronuncia: nel silenzio della norma è verosimile che la definizione della lite possa avvenire, considerando solo la parte ancora oggetto di lite (pendente).
Da segnalare, infine, che sono state totalmente ignorate le liti relative solo agli interessi che sembrerebbero inspiegabilmente escluse.
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