Imposte

Partecipazioni, comproprietari alla prova del prelievo su dividendi e plusvalenze

di Francesco Avella

L’agevolazione prevista dall’articolo 3, comma 4-ter, del Dlgs 346/1990 in materia di imposta sulle successioni e donazioni sta dando luogo ad un notevole incremento delle situazioni in cui coeredi e donatari di partecipazioni societarie, al fine di soddisfare le condizioni per l’agevolazione, le ricevono in comproprietà tra loro nominando un rappresentante comune. I trasferimenti di partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo di «diritto» (51% dei diritti di voto), infatti, non sono soggetti all’imposta di successione e donazione a condizione che gli aventi causa detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento. Nel caso di più eredi o donatari, l’Agenzia delle entrate ha chiarito (circolare 3/E/2008 e risoluzione 75/E/2010) che l’agevolazione si applica a condizione che il trasferimento avvenga in regime di comproprietà, di modo che la partecipazione, cumulativamente, raggiunga la soglia del controllo di «diritto» e possa mantenerla per i cinque anni richiesti dalla norma, posto che in base all’articolo 2347 del codice civile i diritti dei comproprietari sono esercitati da un rappresentante comune che disporrà della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria. Al contrario, l’agevolazione non spetta nell’ipotesi in cui le partecipazioni risultino frazionate tra i coeredi o donatari e non consentano il controllo di «diritto».

In tali situazioni, si pone il dubbio, nella successiva gestione della fiscalità diretta su dividendi e partecipazioni, del se una partecipazione di controllo detenuta in comproprietà con nomina di un rappresentante comune debba intendersi «qualificata» – se rappresenti, cioè, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria superiore al 20 per cento ovvero una partecipazione al capitale od al patrimonio superiore al 25 per cento, secondo la definizione dell’articolo 67, comma 1, lettera c), del Tuir – ovvero «non qualificata». Si pensi, ad esempio, al caso di quattro coeredi che ereditano una partecipazione societaria del 51% in comproprietà, quando ad ognuno di essi è invero riferibile soltanto il 12,75 per cento. La questione è suscettibile di influenzare anche l’operatività della società, posto che nel caso di partecipazioni non qualificate la società dovrebbe operare le ritenute all’articolo 27 del Dpr 600/1973, mentre nel caso di partecipazioni qualificate non dovrebbe operare alcuna ritenuta.

Ebbene, la definizione di partecipazione qualificata non tratta esplicitamente il caso della comproprietà e non risultano, ad oggi, chiarimenti di prassi sul punto. Sussistono, tuttavia, valide argomentazioni per ritenere che la partecipazione di controllo posseduta in comproprietà da più coeredi o donatari costituisca una partecipazione qualificata e quindi, tra l’altro, non vi siano obblighi di ritenuta in capo alla società. I diritti dei comproprietari sono infatti esercitati, ex articolo 2347 del codice civile, da un rappresentante comune che dispone della maggioranza dei voti esercitabili in assemblea ordinaria: la partecipazione societaria rappresenta quindi, complessivamente, una percentuale di diritti di voto superiore al 20 per cento. Una conferma indiretta in tal senso è ritraibile anche dalla risoluzione 131/E del 30 aprile 2002 in materia di partecipazioni detenute in comunione tra coniugi, in cui l’agenzia delle Entrate ha raggiunto analoga conclusione proprio valorizzando l’inquadramento giuridico della comproprietà di azioni con nomina di un rappresentante comune nell’ottica del criterio dei diritti di voto.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©