Controlli e liti

Per la Cassazione le presunzioni sono limitate

di Roberto Bianchi

Nell’ambito degli accertamenti in rettifica ai fini Irpef, l’amministrazione finanziaria è legittimata, ai sensi degli articoli 37 e seguenti del Dpr 600/1973, ad avvalersi della prova per presunzione, la quale comporta la possibilità logica di desumere, in maniera non irrefutabile, il fatto da accertare da un fatto noto e non controverso, con conseguente trasferimento dell’onere della prova contraria in capo al contribuente. A fornire questa rigorosa interpretazione è la Cassazione con l’ ordinanza 14316/2018 .

L’agenzia delle Entrate ha presentato ricorso per la cassazione della sentenza della Ctr della Toscana che, su impugnazione di due avvisi di accertamento per gli anni 2005 e 2006, per i quali era emersa una capacità contributiva non congruente con il reddito dichiarato, ha rigettato l’appello dell’ufficio. In particolare la Ctr, confermando la decisione di primo grado, ha ritenuto giustificati gli acquisti contestati (un’autovettura e quote sociali immobiliari per il 2005 e quote di comproprietà di beni immobili per il 2006) dalle disponibilità finanziarie e bancarie dichiarate e già tassate, di entità ampiamente sufficienti a giustificare gli acquisti emergenti dalla documentazione bancaria depositata dal contribuente, che aveva così assolto all’onere della prova richiesta dal comma 6 dell’articolo 38 del Dpr n. 600/1973.

Attraverso il ricorso l’ufficio ha dedotto la violazione e la falsa applicazione dei commi 5 e 6 dell’art. 38 del Dpr n. 600/1973 e dell’articolo 360 n. 3 Cpc, attribuendo al contribuente l’onere di dover dimostrare la provenienza, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte, del maggior reddito accertato, assegnandogli inoltre il gravame della dimostrazione della durata del relativo possesso.

Il collegio di legittimità ha cassato il ricorso in quanto consolidata giurisprudenza della Suprema Corte ha condiviso il principio secondo il quale, nell’ambito degli accertamenti in rettifica ai fini Irpef, gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi degli articoli 37 e seguenti del Dpr n. 600/1973, ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente (Cassazione sent. n. 10345/2007 e sent. n. 2425/2017).

A parere dei giudici, tuttavia, la Ctr ha correttamente deciso, avendo verificato che la documentazione bancaria, oggetto di specifico esame, costituiva prova contraria idonea a contrastare le presunzioni dell’ufficio e tutto ciò sia con riferimento alle disponibilità finanziarie emergenti dagli estratti conto bancari del contribuente, sia con riguardo alle operazioni addebitate, di cui alla documentazione bancaria, idonee a dimostrare il pagamento degli acquisti contestati.

La pronuncia appare condivisibile in quanto, considerata la natura presuntiva dell’accertamento redditometrico, va sottolineato come, nel processo, il contribuente non è tenuto a fornire la prova dell’effettivo utilizzo della provvista o, comunque, del tangibile impiego dei redditi spendibili ma, semplicemente, anche attraverso presunzioni semplici, della sua attitudine finanziaria a sostenere quel tipo di spesa. Pertanto il contribuente non può essere chiamato a dimostrare il nesso eziologico tra le proprie disponibilità e gli esborsi realmente effettuati nei periodi d’imposta soggetti ad accertamento, ma deve semplicemente fornire la prova della sua capacità di spesa.

Cassazione civile, sezione IV, ordinanza 14316 del 5 giugno 2018

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