Per i commercialisti-sindaci, rimborsi Irap a rischio
Non ha diritto al rimborso parziale dell’
Ma facciamo un passo indietro. Diversamente da quanto sostenuto dall’agenzia delle Entrate (risoluzione n. 78/E/2009), la Suprema Corte ha più volte affermato che non è soggetta a Irap la quota di compensi del professionista derivanti dallo svolgimento degli incarichi di sindaco, amministratore e revisore ricoperti in società ed enti, a condizione che sia possibile scorporare tali introiti da quelli complessivi e dimostrare come tali attività siano svolte senza ricorrere a una autonoma struttura organizzativa.
Nella pratica si possono verificare le seguenti ipotesi:
il professionista, titolare di uno studio “non organizzato”, ricopre anche (o soprattutto) incarichi societari;
il titolare di uno studio “organizzato” (ad esempio con diversi dipendenti) svolge anche attività di sindaco, revisore, amministratore, ecc. (come nel giudizio in esame)
il professionista, facente parte di uno studio associato, ricopre incarichi societari o giudiziali fatturandoli con la propria partita Iva ovvero (altra ipotesi) con la partita Iva dell’associazione professionale.
Nel primo caso non vi sono dubbi circa la mancanza di soggettività ai fini del tributo regionale. Inoltre, con ordinanza n. 19327/2016, è stato affermato che il componente di uno studio associato ha diritto al rimborso dell’Irap versata sui compensi percepiti per incarichi di controllo ed amministrazione ricoperti in società ed enti, fatturati nell'ambito della posizione personale, priva di dipendenti e di beni strumentali di rilievo. Ma, secondo la Corte, il principio di attrazione nell’ambito del reddito di lavoro autonomo dei compensi percepiti dagli incarichi societari (tipico dell’Irpef) non si estende all’Irap. Per cui, anche il professionista non associato è ammesso a dimostrare che questi incarichi vengono svolti senza avvalersi della struttura organizzata con cui esercita la propria attività “tipica”, purché sia possibile separare i relativi compensi netti dal totale (ordinanze n. 23104/2016 e 22138/2016). In questo caso, tuttavia, l’onere probatorio si estende alla distinta individuazione dei relativi compensi (e, aggiungiamo, dei relativi costi): in tal senso si veda anche la Circolare n. 2/IR/2008 del Cndcec.
E proprio questa sembra sia stata la fattispecie affrontata dalla Cassazione nell’ordinanza di ieri: il motivo di ricorso sollevato dal professionista è stato dichiarato inammissibile perché nei vari gradi di giudizio quest’ultimo non avrebbe dimostrato che, per i vari incarichi ricoperti, egli non si era avvalso della propria autonoma organizzazione (la cui sussistenza, per l’attività professionale abitualmente svolta, non viene messa in discussione). E neppure era stata portata in giudizio la suddivisione dei compensi conseguiti nelle attività di cui viene sostenuta l’assenza di autonoma organizzazione. Siccome è pacifico, nella giurisprudenza della Corte, che in caso di rimborso Irap l’onere probatorio spetta al ricorrente (tra le tante, ordinanze n. 3434/2012 e n. 8556/2011), viene confermata sul punto la decisione della Ctr Veneto negativa per il contribuente.
Come affermato dalla sentenza n. 20975/2016, anche lo studio associato (normalmente soggetto a Irap) può non versare l’imposta regionale sui compensi riguardanti gli incarichi societari svolti da ciascun associato, laddove, per questi ultimi sia dimostrato che non è stata utilizzata la struttura di servizi collegata.
Cassazione, VI sezione civile, ordinanza 21161 del 12 settembre 2017