Piani di risparmio a lungo termine a rischio di incompatibilità con le norme Ue
I piani di risparmio a lungo termine (cosiddetti Pir), come noto, stanno riscuotendo un notevole successo e ciò in ragione delle significative agevolazioni fiscali ad essi correlate: senonchè la relativa disciplina suscita qualche perplessità in ordine alla compatibilità con il diritto euro-unitario e, segnatamente, con le norme del Tfue sulla libera circolazione dei capitali e sul divieto di discriminazione.
Il tema si pone, in particolare, quanto allo specifico regime di non imponibilità, riservato alle persone fisiche residenti in Italia, riguardante le imposte sostitutive sui redditi di capitale e diversi derivanti da investimenti effettuati nell’ambito del piano (articolo 1, comma 100, della legge 232/2016 , la legge di bilancio 2017) ed alla non applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni relativamente al trasferimento mortis causa degli strumenti finanziari detenuti nel piano (articolo 1, comma 114, della medesima legge).
Relativamente a tale ultimo tributo, la Corte di giustizia Ue, nella s entenza 26 maggio 2016, causa C-244/15 , ha affermato (in linea con la propria precedente giurisprudenza) che la normativa di uno Stato membro che fa dipendere l’applicazione di un’esenzione dal luogo di residenza del de cuius, qualora comporti che le successioni che coinvolgono soggetti non residenti siano assoggettate ad un onere fiscale maggiore di quelle che coinvolgono soltanto residenti, configura una restrizione alla libera circolazione dei capitali vietata dall’articolo 63 del Tfue; affinché una normativa nazionale operi una differenza legittima di trattamento al fine dell’imposizione successoria tra residenti e non residenti è, infatti, necessario che tale differenza riguardi situazioni non paragonabili o che sia giustificata da imperativi interessi generali.
Di qui il rischio che la normativa relativa ai Pir possa essere considerata discriminatoria nei confronti dei disponenti non residenti ove, come sembra, riservi i benefici fiscali riguardanti l’imposta sulle successioni e donazioni solo ai disponenti residenti in Italia.
Ed invero, ciò rappresenterebbe una restrizione “vietata” alla libertà di movimenti di capitale di cui possono beneficiare anche i residenti al di fuori dell’Unione Europea; non pare sussistere, infatti, alcuna differenza in termini di “situazione oggettiva” che possa giustificare un diverso trattamento tra il de cuius residente e non residente, a parità di titoli sottoscritti e al ricorrere delle altre condizioni richieste dalla disciplina in questione.
Una ulteriore ipotesi di possibile violazione del diritto euro-unitario è rappresentata dalla esclusione degli investitori non residenti dall’ambito dei soggetti cui si applica il menzionato regime di non imponibilità relativo alle imposte sostitutive su alcuni redditi di capitale e diversi di natura finanziaria.
Tali investitori sarebbero titolati ad applicare il regime del risparmio amministrato per gli investimenti effettuati in Italia (anzi per essi l’amministrato è il regime naturale che si applica senza necessità di esercitare la relativa opzione) e, al ricorrere delle ulteriori condizioni previste, dovrebbero poter beneficiare della esenzione in oggetto.
Non solo, lascia perplessi anche il vincolo di investimento del piano per almeno il 70% del valore complessivo in strumenti finanziari emessi o stipulati con imprese residenti in Italia, o in Paesi Ue o See con stabili organizzazioni in Italia, che svolgono attività diverse da quella immobiliare (articolo 1, comma 102, legge di bilancio 2017); in particolare non considerare anche le società Ue o See prive di stabile organizzazione in Italia espone il nostro Paese ad una procedura di infrazione.