Adempimenti

Più chiarezza sullo sconto degli interessi passivi e l’Irap

di Luca Gaiani

Dalle società di comodo alla deduzione degli interessi passivi: le imprese attendono provvedimenti che semplifichino la determinazione del reddito, avvicinando l’imponibile al risultato effettivo. Regole più chiare sono auspicabili anche per l’esonero da Irap dei piccoli professionisti.

Il programma di interventi del futuro Governo per attenuare il carico fiscale delle imprese non dovrebbe trascurare una revisione di alcune regole applicative che continuano a rendere estremamente penalizzante, oltre che complicata e a rischio di errore, la determinazione dell’imponibile.

Le situazioni per le quali le imprese si aspettano una consistente sforbiciata alle norme attualmente in vigore, in chiave di semplificazione e di maggiore aderenza del reddito fiscale al risultato economico, sono diverse.

Cominciamo dalle anacronistiche disposizioni sulle società di comodo e in perdita sistematica. Anche dopo l’abrogazione della obbligatorietà degli interpelli disapplicativi, la rozza presunzione di non operatività basata su ricavi minimi calcolati con percentuali fisse applicate al costo di taluni assets aziendali, ovvero sul ripetersi di perdite fiscali, continua ad apparire a molti contribuenti come una vessazione figlia di ben altri tempi. Eliminati gli studi di settore, la stessa sorte dovrebbe ora toccare alle società di comodo le cui regole andrebbero non già aggiornate, quanto semplicemente cancellate, togliendo ansie inutili alle imprese e attenuando il carico di lavoro per gli Uffici per l’esame degli interpelli e per gli accertamenti.

Un’altra penalizzazione che diventa sempre più difficile sopportare è il tetto alla deducibilità degli interessi passivi. La cosiddetta regola del Rol colpisce in particolare le imprese in crisi, che, evidenziando risultati operativi scarsi, se non addirittura negativi, subiscono l’aggravio causato dal dover assoggettare a tassazione, in tutto o in parte, gli oneri finanziari sostenuti, con un ulteriore incremento della perdita finale per “colpa” del fisco.

Sul versante semplificazione, la disciplina del reddito di impresa continua a non brillare anche con riferimento alle regole per l’individuazione dell’esercizio in cui imputare temporalmente i costi. L’introduzione, dal 2016, della cosiddetta derivazione rafforzata, secondo cui per il fisco valgono le regole dei principi contabili, che doveva risolvere tutti i dubbi, in realtà ne ha generati dei nuovi come dimostrano gli interrogativi, ancora senza risposta, che hanno interessato le chiusure dei bilanci di queste ultime settimane. Basterebbe allora stabilire che non è in alcun modo censurabile la deduzione differita (dato che non genera danni all’erario) e che, come avviene in molti altri paesi, resta sempre deducibile un costo che viene imputato in anni successivi a quello di “competenza”.

Disposizioni semplici, eventualmente con parametri di tipo forfettario, andrebbero infine previste per stabilire quando una piccola impresa o un professionista mancano di organizzazione e possono dunque escludere il loro reddito dalla tassazione regionale. Da anni, infatti, il contenzioso su queste situazioni continua ad ingolfare i giudici tributari che, invece, se le regole fossero chiare avrebbero modo di occuparsi di questioni ben più rilevanti.

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