Prelevamenti bancari dei professionisti senza “presunzione” di evasione
È infondato l'avviso di accertamento notificato a un professionista e argomentato sulla base dei prelevamenti bancari. La Cassazione, tuttavia, insite nel ritenere i versamenti non giustificati dei lavoratori autonomi una “presunzione legale di evasione” che opera in favore dell'amministrazione finanziaria.
In questi termini si è espressa la Corte di Cassazione (ordinanza n. 18801/2017), confermata solo qualche giorno dopo dalla sentenza n. 19806/2017, facendo chiarezza in merito alle indagini finanziarie afferenti i lavoratori autonomi e confinando l'applicabilità della sedicente presunzione contenuta nel comma 1, n. 2), articolo 32 del Dpr 600/1973, esclusivamente ai versamenti non giustificati eseguiti dai professionisti.
Illegittimo impiego della presunzione
I giudici del Palazzaccio hanno condannato l’impiego illegittimo della “presunzione” che l'amministrazione finanziaria continua a utilizzare, dimostrando reticenza a uniformarsi al dettato della Corte Costituzionale (sentenza del 6 ottobre 2014 2014 n. 228) che ha decretato l'illegittimità della seconda parte del comma 1, n. 2), articolo 32 del Dpr 600/1973, eliminando la casistica secondo cui i prelevamenti operati dai lavoratori autonomi possono essere automaticamente riclassificati dall'Ufficio quali più elevati compensi, sulla falsariga di quanto si verifica per i contribuenti assoggettati al reddito d'impresa.
Una norma sempre sospettata di “non conformità”
La norma ha sempre originato numerose perplessità in merito alla sua rispondenza ai principi costituzionali, con particolare riguardo a quello della ragionevolezza. Va rilevato, infatti, che della legittimità costituzionale della norma si era già occupata in passato la Consulta con la sentenza dell’8 giugno 2005 n. 225.
Il tribunale delle leggi, pur salvaguardando la disciplina sottoposta alla sua valutazione, ha evidenziato che nel determinare i ricavi non dichiarati è comunque necessario tenere in considerazione «l'incidenza percentuale dei costi relativi» ribadendo che «detratti i relativi costi» appare legittimo che i prelievi vengano riqualificati in termini di reddito imponibili.
La locuzione «sono poste a base»
Occorre osservare, inoltre, che la previsione sui prelevamenti non giustificati, emergenti dai rapporti intrattenuti con gli intermediari finanziari, è comunque da collegare alla prima parte della norma, secondo la quale le movimentazioni con gli stessi sensali «sono poste a base delle rettifiche e degli accertamenti», in questo caso disciplinati dall'articolo 39 del Dpr 600/1973. Il che sta a significare che non siamo in presenza di alcun automatismo, ma al contrario la locuzione «poste a base» manifesta specificamente la volontà del legislatore di evitare la trasformazione degli elementi raccolti nell'attività istruttoria in prove di evasione. La formula “poste a base”, peraltro, è ben diversa da quelle quali “si considera” “si considerano”, che ordinariamente vengono impiegate dal legislatore per introdurre una presunzione legale.
Dopo la legge 311/2014
Successivamente alle modifiche introdotte dalla legge n. 311/2004, la specifica disposizione sui prelevamenti non giustificati ha trovato applicazione anche nei confronti dei lavoratori autonomi, ma tuttavia se per gli imprenditori si può ritenere che in presenza di prelievi non giustificati gli stessi siano in qualche modo connessi a dei ricavi non dichiarati, tali correlazioni non avrebbero alcuna giustificazione per gli esercenti un'attività professionale e, sulla base di queste considerazioni, la Corte costituzionale, con la pronuncia n. 228/2014, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 1, n. 2) secondo periodo, dell'articolo 32 del Dpr 600/1973, limitatamente alle parole «o compensi».
Corte di Cassazione, sentenza n. 19806/2017