Processo tributario, con l’ottemperanza più chance per rendere esecutive le sentenze
Il complesso di norme che regolano il processo tributario è disciplinato dal Dlgs 546/1992 , da ultimo riformato con la modifiche apportate dal Dlgs 156/2015 .
Come più volte ricordato dalla dottrina e dalla giurisprudenza il processo tributario è caratterizzato dalla specialità sia nella sostanza , in quanto le controversie hanno per oggetto esclusivo i tributi di ogni genere e specie, che nella forma, poichè non si applicano le norme codicistiche ordinarie (Codice di procedura civile) tranne i casi non disciplinati dal codice di rito e laddove con esso compatibili (articolo 1 comma 2); viene pertanto lasciata all’interprete (giudice) la valutazione dell’applicazione delle norme del codice di procedura civile nei limiti e nei confini delineati dal citato articolo 1, comma 2 (esame di compatibilità).
Il legislatore tributario della riforma del 1992 ha sostanzialmente scritto il rito tributario talora riproducendo, in gran parte e per analogia, le norme del rito ordinario talvolta utilizzando la tecnica legislativa del «rinvio».
Fra i vari istituti processuali contemplati negli attuali 80 articoli che disciplinano il processo tributario ve ne sono 2 in particolare , gli articoli 69 e 70, che costituiscono un’esclusiva rispetto al processo ordinario; essi infatti regolano il giudizio di ottemperanza quale strumento per dare esecuzione alle sentenze tributarie a favore del contribuente in caso di inerzia dell’Amministrazione alla restituzione o al pagamento di somme
disposte nel decisum del giudice tributario.
Il legislatore ha regolamentato tale istituto nel rito tributario ricalcando il giudizio di ottemperanza (o «azione di esecuzione») del diritto processuale amministrativo che fonda le sue origini nell’articolo 4, n. 4, della legge 5992/1889, istitutiva della IV sezione del Consiglio di Stato (legge Crispi) trasfusa nell’articolo 27, n. 4, del Rd 1054/1924 (Testo Unico delle leggi sul Consiglio di Stato) : «Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale decide pronunciando anche in merito [...] dei ricorsi diretti ad ottenere l’adempimento dell’obbligo dell’autorità amministrativa di conformarsi, in quanto riguarda il caso deciso, al giudicato dei Tribunali che abbia riconosciuto la lesione di un diritto civile o politico».
In un primo momento il giudizio di ottemperanza fu individuato come una ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo per l’esecuzione, però, delle sole sentenze del giudice ordinario per poi ottenere un riconoscimento formale sul piano legislativo nel 1971, in occasione dell’emanazione della legge istitutiva dei Tar (legge 1034/1971); il principio adottato fu quello di investire lo stesso organo che aveva emanato la sentenza in sede di cognizione poiché si presumeva che il giudice della cognizione fosse in grado di interpretare al meglio i vincoli nascenti dalla decisione e di valutare il comportamento tenuto dall’amministrazione soccombente.
Da ultimo, l’articolo 21-septies della legge 241/90, introdotto con legge 15/2005, nel disciplinare le ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo, annovera tra queste la violazione o elusione del giudicato, assegnando alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le relative controversie.
Il legislatore della riforma tributaria del 1992 ha previsto tale istituto nell’articolo 70 del Dlgs 546/1992 considerato dalla giurisprudenza di legittimità strumento alternativo o cumulativo con il processo civile di esecuzione (ex multis Cassazione, sentenza 4126/2004).
Il giudice dell’ottemperanza in sostanza si sostituisce all’amministrazione inadempiente ponendo in essere tutte le attività che questa avrebbe dovuto compiere per realizzare concretamente gli effetti derivanti dalla sentenza da eseguire; pertanto la sua attività costituisce esplicazione dell’esercizio della funzione giurisdizionale rivestita.
Il giudizio di ottemperanza poteva essere proposto (articolo 70) , prima dell’ultima novella legislativa (Dlgs 156/2015), soltanto con il passaggio in giudicato della sentenza e dopo la scadenza del termine entro il quale è prescritto dalla legge l’adempimento da parte dell’ufficio del ministero dell’Economia o dell’ente locale al decisum del giudice, tramite ricorso da depositare in doppio originale:
1) alla segreteria della Commissione tributaria provinciale, quando la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata;
2) alla segreteria della Commissione tributaria regionale, in ogni altro caso.
Il Dlgs 156/2015 ha riformato l’articolo 69 prevedendo al comma 1 l’immediata esecutività delle sentenze , al comma 4 il termine di 90 giorni dalla notifica della sentenza (spatium adimplendi) a disposizione per l’ ufficio soccombente nel giudizio per effettuare il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza, al comma 5 la possibilità per il contribuente , in caso di mancata esecuzione della sentenza, di richiedere l’ottemperanza a norma dell’articolo 70 alla Commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla Commissione tributaria regionale.
Pertanto l’articolo 69 come riformato ha di fatto introdotto il regime dell’esecutività immediata delle sentenze tributarie equiparandole ai provvedimenti delle altre giurisdizioni. In virtù di tale modifiche normative è stato di fatto espunto dal rito tributario lo strumento dell’esecuzione ordinaria avverso le sentenze di condanna emesse dai giudici tributari, prima ritenuto, come detto in premessa, alternativo o cumulativo al giudizio di ottemperanza.
La ratio dell’esclusività del giudizio di ottemperanza come unico strumento per la esecuzione delle sentenze tributarie la si ricava dalla relazione illustrativa al Dlgs 156/2015 e che si può sintetizzare in 3 punti:
•peculiarità delle sentenze emesse nel processo tributario;
• particolare efficacia della procedura di ottemperanza;
•difficoltà di agire in via esecutiva sui beni dei soggetti pubblici.